Il testamento spirituale   

San Leonardo Murialdo
TESTAMENTO SPIRITUALE

Alla maggior gloria di Dio,
e in ringraziamento.





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PREGHIERA
30 marzo 1895


      Con questa "preghiera" iniziale, il Murialdo desidera che il Testamento continui, dopo la sua morte, ad essere "voce" presso il Signore della “sincerità del suo pentimento” per i peccati commessi, e "memoria" nel tempo dei “segreti sentimenti del suo cuore”, cioè dell'ardente desiderio di riparazione e di santità.
In questa accorata invocazione, che è un atto di fiducia e di abbandono in Dio, si può cogliere la grandezza di fede del Murialdo e la forte intensità spirituale con cui esprime i suoi sentimenti.


      Mio Dio, io ti dico con uno dei tuoi servi: mio Dio e mio Padre! Possano queste righe ripeterti i miei sospiri, che ad esse affido, anche quando non potrò più farlo io stesso! Ti parlino in mio favore anche quando sarò nel silenzio della tomba, e conservino, per quando non ci sarò più, i segreti sentimenti del mio cuore e le espressioni dei miei rimpianti per supplire, in qualche modo, al poco tempo che ancora mi resta per testimoniarti tutta l'amarezza e tutta la sincerità del mio pentimento.

Leonardo Murialdo



LA MIA STORIA

Con questo brano, scritto nel 1891, inizia il Testamento.
Nella prima parte, che funge da "premessa", il Murialdo specifica lo scopo del documento che è quello di animare i suoi figli, attraverso il racconto della sua "storia di peccato e di perdono", ad avere una incrollabile confidenza nella misericordia di Dio nonostante i peccati da loro commessi. Chiede, inoltre, preghiere di suffragio.
Terminata questa premessa, il Murialdo inizia a raccontare la sua storia partendo dalla nascita (1828) fino alla sua ordinazione sacerdotale (1851).
Famiglia, genitori, qualità e limiti morali, salute, collegio di Savona, ritorno a Torino, conversione, studi di filosofia, vocazione sacerdotale, vestizione clericale, corso teologico all'Università, ordinazioni, prima messa sono gli aspetti e gli avvenimenti della sua vita che il Murialdo richiama in questo brano.
Il tema, però, sul quale si sofferma, in modo particolare, è la crisi giovanile vissuta nel collegio. Di questa il Murialdo indica le cause: viltà, debolezza, rispetto umano; il contenuto: la vita di peccato, soprattutto di peccati contro la castità; la conseguenza: l'abbandono di Dio.
Come prova di questo suo allontanamento da Dio, il Murialdo ricorda due fatti specifici: la scelta dell'inferno e lo sforzo per dimenticare i salmi che conosceva a memoria.
Questo dramma trova la soluzione nella confessione generale: è il momento del suo ritorno a Dio, della sua "conversione".
La finalità che il Murialdo si prefigge nel raccontare le miserie della sua “povera vita”, di cui i confratelli non devono scandalizzarsi, è quella di lodare la bontà gratuita, la pazienza infinita e la generosità senza limiti di Dio misericordioso che è il vero protagonista di tutto il racconto.
Il Murialdo, rileggendo il dramma di Savona a 63 anni, rivela alcuni sentimenti del suo cuore: sincero pentimento per i peccati commessi, rimpianto per non aver corrisposto all'amore del Padre, desiderio di amarlo veramente e gratitudine per i benefici ricevuti da Dio.





Miei cari figli e confratelli in Gesù Cristo e san Giuseppe.


L'ora della mia partenza per l'eternità non può essere molto lontana. Prima di abbandonarvi desidero lasciarvi un ricordo: il ricordo delle misericordie che il buon Dio si è degnato di usare al più ingrato dei peccatori. Io credo di poter assecondare in questo modo i disegni del buon Dio che possono essere, riguardo alla nostra meschina Congregazione, ciò che sono stati, riguardo alla Chiesa universale, i suoi disegni nella conversione di san Paolo. Scriveva, infatti, questo apostolo nella prima lettera a Timoteo: “Appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (1Tm 1,16).
Anch'io “ho ottenuto misericordia”, ma non posso aggiungere, come san Paolo, “perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede” (1Tm 1,13). Io non ho questa scusa; perciò la misericordia, di cui sono stato l'oggetto, è ancora più efficace per suscitare la confidenza in un Dio così buono, così paziente, così generoso.
Vi prego, dunque, miei cari figli e confratelli, vi prego di non scandalizzarvi minimamente per il racconto delle mie miserie, ma di attingere soltanto un'incrollabile confidenza dal racconto delle misericordie che Dio ha prodigato al vostro disgraziato Padre spirituale, e di imparare a non scoraggiarvi, per quanto profondi possano essere gli abissi dei peccati nei quali possiate essere caduti. Soprattutto non dimenticatemi nelle vostre preghiere.

Mi sei venuto incontro, Signore, con le più dolci benedizioni” (Sal 20,4).
Fin dalla nascita Dio mi ha colmato dei suoi benefici.
La mia famiglia era stimata e godeva di una certa agiatezza; mio padre era un onesto agente di cambio, cattolico praticante; mia madre era pia, esemplare, molto affezionata ai suoi figli, soprattutto a me quando abbracciai la vita sacerdotale.
Il mio animo era inclinato alla virtù e dotato di una certa sensibilità favorevole alla pietà; la mia intelligenza non era superiore alla media, ma sufficiente per una buona riuscita se non fossi sempre stato schiavo di una certa pigrizia e languore che non mi abbandonarono mai1.
Durante l'infanzia la mia salute era gracile e, forse anche per questo motivo, mia madre si rassegnò a mandarmi nel Collegio delle Scuole Pie a Savona, una città allora molto lontana da Torino: infatti ci volevano non meno di due giorni per raggiungerla.
A Savona trovai la salute del corpo, ma, ahimè, che triste e orribile naufragio per la mia anima! In quale abisso profondo precipitai, e in così breve tempo!
Da allora, che cosa vedo nella mia vita? Da un lato, una catena ininterrotta di grazie le più singolari, di benefici i più eletti da parte di Dio e, dall'altro lato, una catena non meno continua di peccati, di ingratitudini e di negligenze da parte mia. Quale storia, mio Dio, è la storia delle tue misericordie e delle mie ingratitudini! Io non conosco altra storia o biografia in cui meglio risplenda l'incomprensibile gratuità dei doni di Dio!
Tu, mio Dio, mi avevi ricolmato di doni naturali e soprannaturali, e così avevi dato inizio al corso della mia vita; io, invece, ti abbandonai così presto! Non erano ancora trascorsi sette anni dall'uso della ragione che io già ti abbandonavo e mi rivoltavo contro di te: “A differenza di mille uomini, io, fin dalla prima età, ti offesi; tu invece mi hai colmato di innumerevoli benefici a differenza di mille uomini”2.
A 14 o 15 anni io ero già peccatore e gran peccatore! Sì, io ero veramente il “così piccolo uomo e così grande peccatore” secondo l'espressione di sant'Agostino. A 15 anni io ero un piccolo empio. E' orribile!
E devo io rivelare la mia empietà col pericolo di scandalizzare i miei confratelli e i miei figli spirituali? Sì, mio Dio, rivelerò il mio peccato a tuo onore e a tua gloria. E dove troverai un altro trofeo più glorioso della tua misericordia? E' vero che tu non mi hai ancora vinto e che io non sono ancora schiavo del tuo amore come tu vorresti, ma è proprio questo che fa maggiormente risplendere la grandezza e l'immensità della tua misericordia!
Dirò dunque il mio peccato: “Confesserò contro di me il mio peccato” (Sal 31,5).
Cominciai ad abbandonare il buon Dio e ad offendere il buon Padre per viltà. Il rispetto umano: ecco la gran bestia che mi atterrò!
Da principio, in collegio, non ero cattivo, anzi, per qualche tempo venivo proposto come esempio. Era questo un dono della tua bontà, o mio Dio, che mi avevi concesso un'anima naturalmente cristiana.
A causa di ciò, alcuni cattivi compagni iniziarono ad allontanarsi da me, a guardarmi come il beniamino dei superiori e, forse, a sospettarmi come spia. Tuttavia, in principio, io lottai un po'.
Una volta andai a confessarmi e dovetti accusarmi di aver ascoltato cattivi discorsi. Il confessore, il Padre S.3, volle obbligarmi a rivelare ai superiori i nomi di quei cattivi compagni. Io lo promisi, ma poi mi mancò il coraggio di farlo. Quando tornai a confessarmi, il sacerdote riteneva di non potermi dispensare da quest'obbligo, ma io non avevo il coraggio di promettere. Il confessore era in pena: tuttavia non vedeva altra soluzione. Infine mi propose di rivelare a lui i nomi. Feci così e gli diedi facoltà di indicarli ai superiori.
Più tardi i cattivi compagni incominciarono a perseguitarmi un po'. Allora ebbi la debolezza e la viltà di abbandonare completamente il buon Dio. E quale abbandono, gran Dio!
Era una sera del 1842 o 1843. Io stavo recitando le preghiere personali accanto al letto.
Per paura della persecuzione mi decisi a comportarmi come gli altri. Il mio buon angelo custode mi ispirò questo pensiero: “E se tu dovessi morire nel tempo del tuo abbandono di Dio?”. “Ebbene - ebbi il coraggio diabolico di rispondere - ebbene, se morirò nel tempo in cui mi troverò ancora in collegio, pazienza, mi dannerò. Se avrò il tempo di uscire dal collegio, allora mi convertirò”.
E così accettai deliberatamente l'inferno. Era possibile?
E il buon Dio accettò il mio patto e non mi condannò. Mi conservò in vita nonostante che la mia vita, durante tutta la permanenza in collegio, non fosse contrassegnata che da innumerevoli peccati di ogni specie.
Anzi mi diede il tempo di uscire dal collegio e, cosa ancora più sorprendente, all'uscita dal collegio mi trovò in tale situazione che io non volevo più saperne di lui. Io lo fuggivo, sì, io lo fuggivo, ed egli mi rincorreva dicendomi: “Perché volete morire, o Israeliti?” (Ez 18,31).
Mi arrestò, allora, sul bordo dell'abisso e mi costrinse a ritornare a lui.
Ah, devo dire con maggior ragione di sant'Agostino: “Sono disceso fino alle porte dell'inferno e tu, mio Dio, mi hai trattenuto perché non vi entrassi. Quando io trasgredivo i tuoi comandamenti, il diavolo stava pronto per trascinarmi all'inferno, ma tu glielo impedivi; io ti offendevo e tu mi difendevi4.
Quante volte da allora dovetti ripetere: “Molte volte, anche se non lo sapevo, tu mi strappasti all'inferno!”. Sì, quante volte! Poiché dopo di allora, forse per un anno e mezzo, la mia vita non fu che una catena di peccati, di peccati di ogni specie. Di tutti i dieci comandamenti - eccettuati, forse, il settimo e gli ultimi due -, non ce n'è uno che io non abbia trasgredito mortalmente; così pure devo dire dei peccati capitali, eccettuata l'avarizia. Oppure, se non sono sicuro di aver peccato gravemente contro qualcuno di essi, ne avevo almeno la disposizione.
Anche prima di questo disgraziato periodo della mia vita, quanti peccati mortali avevo commesso?
Una volta giocavo alle noci. Per una contrarietà nel gioco mi sfuggì questa bestemmia: “Maledetto chi mi ha creato!”. E il buon Dio non mi colpì subito! Andai poi a confessarmene.
Fui scosso e turbato quando il sacerdote mi disse che non mi avrebbe potuto assolvere, trattandosi di peccato riservato, se invece di dire “maledetto” avessi detto “falso”; se invece di una maledizione al buon Dio, avessi pronunciato una bestemmia ereticale5.
Ma per tutto quell'anno disgraziato 1843, quale vita abominevole ho condotto! Io andavo tutti i giorni a messa con gli altri compagni, però durante il santo sacrificio leggevo un libro scritto con buone intenzioni, cioè allo scopo di allontanare dal vizio dell'impurità facendo conoscere le funeste conseguenze di questo peccato. Io, invece, lo leggevo soltanto per apprenderne la malizia e per saperne come gli altri.
Quante profanazioni in chiesa! E quante feste non avrò io profanato?
Naturalmente, abbandonando il buon Dio mi gettai in braccio al demonio dell'impurità. E quanti cattivi discorsi e cattive azioni! Sono giunto al punto di voler far credere ad un mio compagno di aver commesso un'azione abominevole di cui non ero colpevole; e se non riuscii a farglielo credere, non è che me ne sia mancata la volontà.
Ah, quel tempo deplorevole in cui mi ero abbandonato al vizio, quando mi vantavo della mia infamia e mi gloriavo delle mie miserie! E tu, mio Dio, mi hai sempre sopportato, atteso, chiamato! E ancora adesso tu mi guardi con bontà, mi perdoni con misericordia, mi soccorri con amore! O Padre prodigo del figlio prodigo, guarisci questo lebbroso: “Se vuoi, tu lo puoi” (Mt 8,2); risuscita questo morto: “Se vuoi, tu lo puoi”.
Oh, è stata certamente la tua protezione, o mia buona e
dolce Madre della Consolata, alla cui custodia la mia cara madre naturale mi aveva affidato con mio fratello prima della partenza per il collegio di Savona. Io sono riconoscente alla tua protezione per non aver mai commesso azioni cattive con altri e per non aver mai scandalizzato con discorsi i compagni più giovani di me. Sii mille volte benedetta, o mia buona Madre, e per questa grazia possa io venire a ringraziarti in cielo: “Canterò in eterno le misericordie di Maria” (cf. Sal 88,2).
E quante profanazioni del sacramento della penitenza!
Durante quel tempo mille volte disgraziato, io andavo a confessarmi ogni mese con gli altri compagni, ma che cosa facevo? Per quel poco di coscienza che ancora mi restava, io non volevo mentire deliberatamente in confessione, ma non di meno calpestavo il Sangue adorabilissimo del mio Salvatore poiché evitavo di proposito di fare l'esame di coscienza limitandomi ad accusare quello che mi ricordavo al momento della confessione. E il buon Dio non mi puniva, anzi mi aspettava e mi chiamava sempre, ma sempre invano. La mia decisione era presa: “Io non mi convertirò in collegio!”.
Sono precipitato, allora, fino al fondo dell'abisso? Sono arrivato al punto di fare la comunione sacrilega? Spero di no, sebbene possa dubitarne.
Mi ricordo che in occasione della comunione pasquale procurai di avere in confessione almeno le disposizioni necessarie per evitare il sacrilegio; ma se dovessi giudicare poi dai frutti dei due sacramenti dovrei ancora dubitarne e temere d'aver toccato il colmo della miseria spirituale con il più orribile dei sacrilegi, sì, con la comunione sacrilega.
Eccomi dunque apostata da Dio! Bestemmiatore di Dio! Profanatore delle feste, dei sacramenti, del sangue di Dio!
E riguardo al prossimo? Tra coloro che mi facevano un po' di persecuzione - ma, in verità, non accanita -, ce n'era uno che cercava di tentarmi perfino in chiesa; io, però, non lo assecondavo, anzi lo odiavo.
Un giorno eravamo al mare. Egli salì su uno scoglio molto alto che cadeva a picco da un lato. Al vederlo lassù desiderai che precipitasse in mare, e credo di avervi acconsentito tanto da essere colpevole di omicidio di desiderio.
Quanti peccati, allora, di orgoglio, di golosità, di scandalo, di disobbedienza, di pigrizia!
Credo di essere stato anche colpevole di calunnia. Tutti conoscono l'orrore che si prova nei collegi verso coloro che fanno delazioni ai superiori e che vengono chiamati spie. Ebbene, parlando con alcuni compagni nei riguardi di altri che odiavo, dissi loro che io credevo, anche se non ne ero convinto, che essi avessero riferito qualche fatto ai superiori.
Tuttavia il peccato in cui cadevo più di frequente era contro il sesto comandamento.
I peccati ripetuti formano l'abitudine e l'abitudine non tarda a causare l'insensibilità spirituale e l'indurimento del cuore. E quanto poco tempo occorre per arrivare a questo indurimento quando si pecca con malizia! Come persi presto il rimorso! Come persi presto il sentimento religioso!
Ho detto che avevo abbandonato il buon Dio a causa del rispetto umano e che pensavo di ritornare a lui, una volta uscito dal collegio. Ma come mi sbagliavo!
I peccati accumulati gli uni sugli altri spensero in me ogni amore verso Dio. Il demonio mi mise il piede sul collo e mi trascinò fino a diventare un empio. Io non avrei mai creduto di cadere in tale situazione, eppure negli ultimi mesi di collegio giunsi al punto di sforzarmi di dimenticare completamente i salmi che conoscevo a memoria e di cercare di cancellarli dalla mia mente facendo di tutto per allontanarmi sempre più da Dio.
Quando uscii dal collegio non portai con me nessun libro di devozione, ma scelsi solo qualche romanzo e qualche dramma del Romani, abbandonando così totalmente il buon Dio: il buon Dio che non mi abbandonò mai, lui, mai!
Ecco, dunque, un secondo abbandono deliberato ed esplicito che io facevo del buon Dio!

Il peccato contiene sempre implicitamente un abbandono di Dio, un “allontanamento da Dio”, ma questo non è di solito un abbandono deliberato, dichiarato, ragionato. Non sono molti i peccatori che abbandonano Dio in modo così assoluto. Io fui uno di questi: due volte apostatai da Dio, rinunciai a lui, non volli più saperne di lui. E lui, il buon Dio, come si è comportato nei miei riguardi?
Egli usò con me tutti gli espedienti della misericordia descritti così bene da sant'Alfonso de' Liguori nel capitolo intitolato La misericordia di Dio del suo libro Apparecchio alla morte, e dal Padre Bartolomeo Baudrand nella dodicesima lettura, che tratta della Misericordia di Dio verso i peccatori, della sua opera L'anima elevata a Dio.
Io avevo dichiarato al Signore che non sarei stato più suo fino all'uscita dal collegio, ma in realtà, in quel periodo, non solamente avevo dimenticato le cose di Dio, ma mi sforzavo di dimenticarle totalmente.
Tuttavia Dio, che da tutta l'eternità aveva progettato di salvarmi e di santificarmi, nonostante il rifiuto che io facevo di lui, non mi abbandonava e non mi puniva. Che dico? Egli veniva a cercarmi, ad attirarmi a sé, a forzarmi a tornare sulla via della salvezza. Ed ecco come. Già da un anno io ero affondato nel pantano del peccato e vi affondavo sempre più. Che sarebbe stato di me se fossi rimasto ancora un altr'anno in quella triste situazione, moltiplicando sempre più le mie colpe?
Ma per completare il corso degli studi superiori dovevo ancora frequentare il secondo anno di retorica, e per me c'era un motivo particolare per non ometterlo. Infatti avevo la speranza, e potrei quasi dire la certezza, di essere nominato uno dei Principi dell'Accademia, non il primo, ma il secondo. Costoro venivano premiati con un ritratto in grandezza naturale che veniva poi esposto nella galleria all'ammirazione di quanti visitavano il collegio.
Questa iniziativa eccitava molto l'emulazione tra gli allievi, soprattutto tra quelli delle città di Genova e di Torino, che cercavano di superarsi gli uni gli altri.
Ma il buon Dio la spuntò. Da una parte, io ero stufo della vita di collegio, soprattutto non essendo in buoni rapporti con i compagni più influenti che erano anche i peggiori; dall'altra parte, mi sembrava di avere ancora un po' di rimorso per la mia vita cattiva. Pregai, pertanto, mia madre di ritirarmi dal collegio. Penso di aver fatto allora un piccolissimo sacrifico di amor proprio - a meno che non sia stata una vile e colpevole indifferenza -, e che il buon Dio l'abbia fatto volgere a mia salvezza.
Io e mio fratello uscimmo, dunque, dal collegio e ritornammo in famiglia.
Due mesi dopo entrammo insieme nel corso di filosofia avendo trovato il modo di non frequentare il secondo anno di retorica, cosa che in seguito rimpiansi sempre molto perché ora capisco che sarebbe stato l'anno di un autentico profitto in letteratura e composizione italiana, mentre poi sono sempre rimasto assai limitato in queste materie.
Il buon Dio mi aveva conservato in vita quell'angelo di mia madre.
Ella non tardò ad indirizzarmi dal sig. abate Pullini, santo sacerdote, che era già stato mio confessore prima che partissi per Savona. Feci una confessione generale da lui che confessava ancora, nella chiesa di San Dalmazzo, nel terzo confessionale a destra, come una volta.
E' là che “misericordia e verità s'incontrarono, che giustizia e pace si baciarono” (Sal 84,1).
Quale prodigio di misericordia! E chi mai potrà dubitare della bontà e della misericordia di Dio? Poiché io credo che non siano molti i peccatori nel mondo che non solo hanno gravato la loro coscienza di innumerevoli peccati, ma che hanno accettato deliberatamente l'inferno e che sono giunti al punto di sforzarsi di dimenticare quello che, quasi contro voglia, ricordavano ancora di Dio, cioè la conoscenza dei salmi e dei cantici di lode a Dio.
Ma ecco che il buon Dio voleva far risplendere ancora la sua bontà e generosità in modo del tutto singolare. Non soltanto egli mi ammise di nuovo alla sua amicizia, ma mi chiamò ad una scelta di predilezione: mi chiamò al sacerdozio, e questo solo pochi mesi dopo il mio ritorno a lui.
Ho esposto altrove la via provvidenziale attraverso la quale Dio mi condusse alla vita sacerdotale6.
Il 6 novembre 1845, festa di san Leonardo, ebbi la gioia e l'onore di vestire l'abito clericale benedetto dall'abate Pullini nella chiesa di Santa Chiara, annessa al convento delle religiose della Visitazione di cui l'abate era il padre spirituale.
Appena vestito l'abito partii per il seminario dove si inaugurava l'anno scolastico e dove ebbi la fortuna di poter approfittare della novità che veniva introdotta proprio in quell'anno nel corso di teologia. Venivano, infatti, erette la cattedra di Istituzioni teologiche, tenuta dal canonico Savio, che divenne poi vescovo di Asti, e quella di Istituzioni bibliche, tenuta dal prof. Banaudi. Scelsi come "ripetitori" il teologo Berta, che fu nominato, poi, canonico della Chiesa di San Lorenzo, e il teologo Baricco. Frequentai il corso teologico all'università, e fui ammesso alla laurea il 12 maggio 18507.
Nel seguente mese di settembre ricevetti il suddiaconato; fui ordinato diacono a Pasqua - non amavo la fretta -, e il giorno 21 settembre 1851, festa di san Matteo, ebbi la gloria e la gioia di celebrare la prima messa nella Chiesa di San Dalmazzo. Fui assistito dall'abate Pullini e, credo, dal canonico Renaldi. Ah, come ero felice! Ma tra i parenti che mi facevano corona non c'era mia madre. Ella era andata in paradiso il 9 luglio 1849.
Da allora ebbi sempre una certa devozione per san Matteo. Mi piaceva pensare che anche lui era stato peccatore e che era stato convertito dallo stesso Gesù Cristo, il quale si degnò di chiamare anche me all'apostolato. Ma quale contrasto! Appena Nostro Signore disse al pubblicano Matteo: “Vieni e seguimi” (Mt 9,9), egli si alzò e “lo seguì” (Mt 9,9). In seguito egli non visse che per Gesù Cristo e morì per Gesù Cristo.
Al contrario, quale vergogna per me! Quante resistenze alle grazie di Dio! Quale sordità alla sua voce che mi chiamava, che gridava dietro di me: “Hai chiamato, hai gridato!” (sant'Agostino). Quale disprezzo delle ispirazioni, dei lumi e dei rimorsi che egli non cessava di suscitarmi in cuore! E poi, quando infine mi decisi ad accettare di fuggire l'inferno, come è stata la mia vita? Ho io testimoniato la mia riconoscenza al Signore con il mio amore e il mio fervore? Ahimè! L'amor proprio è sempre stato il mio idolo, e Dio continuò sempre e continua tuttora a chiamarmi ad alta voce: “Hai chiamato, hai gridato!”.
Quando avverrà, o Signore, che io potrò dire: “Hai vinto la mia sordità?” (sant'Agostino).


CONFESSIONE PRIMA DELLA
ORDINAZIONE SACERDOTALE DEL 1851


E' la seconda confessione generale di cui il Murialdo parla nel Testamento, dopo quella della crisi giovanile. E' da notare che il termine “perverso” è riportato nel manoscritto in lingua italiana, cioè come l'ha pronunciato il confessore. E' segno della grande "impressione" avuta perché il termine esprimeva un severo giudizio morale sulla sua esperienza di peccato.

Feci la mia confessione generale dal Padre Durando, lazzarista.
Quando mi accusai dell'abbandono di Dio che avevo fatto in collegio, egli mi domandò per quanto tempo io ero stato così perverso. Questo termine mi impressionò molto.


IL FIGLIO PRODIGO


Il brano traccia un parallelo tra il figlio prodigo della parabola evangelica (cf. Lc 15,11-32) e il Murialdo stesso.
Il confronto tra i due personaggi mette in risalto gli aspetti negativi, cioè l'abbandono del padre nella giovinezza, la vita peccaminosa, il ritorno dal padre motivato dall' “interesse” e dal “timore”, e non dall'amore, e soprattutto gli aspetti positivi: “l'accoglienza veramente paterna ricevuta da Dio” al loro ritorno e i benefici a loro accordati.
Il Murialdo rivive questo incontro con il Padre, cioè il momento della confessione generale dopo la crisi giovanile, ricordando, con animo commosso e riconoscente, l'esperienza della gioia: “Che banchetto di festa!”; della tenerezza di Dio: “Quante carezze!”; della generosità senza limiti di Dio: “Quanti doni!”.
Tra i “benefici ineffabili e privilegi straordinari” ricevuti durante la sua vita, il Murialdo ricorda esplicitamente la vocazione sacerdotale e religiosa, perché concesse “al più ingrato dei figli”.
Il brano intende mettere in luce la bontà di Dio Padre nell'accogliere e nel perdonare coloro che, pentiti, ritornano a lui dopo che si sono allontanati dal suo amore.


Chi è questo disgraziato? Che dico? Chi è questo fortunato figliolo, se non io stesso?
Questo figlio abbandonò il suo amabile e buon padre quando era ancora giovane, anzi molto giovane; e io ti ho abbandonato a 14 anni, o mio buon Padre!
Egli fuggì molto lontano da te; ed io quanto lontano? Fino a dimenticarmi di te? Ah, molto più lontano: fino all'empietà, fino allo sforzo di dimenticare le tue lodi divine e i tuoi salmi divini che sapevo a memoria, e di rifiutare tutti i libri di preghiere e di devozione.
Egli si diede ai piaceri vergognosi. Ed io, ahimè, io pure, anche se la mia buona madre Maria mi ha preservato da ogni scandalo con altri per quanto riguarda le azioni; mentre invece ho dato scandalo per quanto riguarda i discorsi.
Egli tornò da suo padre per interesse: “Io qui muoio di fame” (Lc 15,17); ed io feci i primi passi per ritornare alla casa paterna soltanto per il timore dell'inferno!
Ma è soprattutto per l'accoglienza veramente paterna ricevuta da Dio che io rassomiglio al fortunato figliolo. Quanti doni! Quante carezze! Che banchetto di festa!
Non parlo tanto delle consolazioni e delle dolcezze spirituali che Dio mi fece gustare per qualche istante, al mio ritorno, per legarmi a lui, ma parlo soprattutto dei benefici ineffabili e dei privilegi straordinari che egli accordò al più ingrato dei figli, chiamandomi e scegliendomi fra mille - “scelto fra mille” (Ct 5,10) -, alla vita sacerdotale e alla vita religiosa.
Che moltitudine di doni in ciascuno di questi benefici! “Come ricambierò il Signore per tutto il bene che mi ha fatto?” (Sal 115,12).
E, per il banchetto di gioia, che banchetto! E quante volte non si è ripetuto dopo il mio ritorno a lui? Più di 16.000 volte!8


IL BUON DIO MI HA AMATO DI UN AMORE ETERNO


Il Murialdo vede i 63 anni della sua vita (il brano è stato scritto nel 1891) segnati dalla continua azione misericordiosa di Dio nei suoi confronti allo scopo di condurlo “alla salvezza e alla santificazione”.
A questa "preoccupazione" di Dio la risposta del Murialdo è quella di un “ingrato” che “sfugge continuamente” il Signore non accogliendo la sua grazia, con il pericolo di non entrare in paradiso.
Anche in questo brano il protagonista è Dio misericordioso che ama l'uomo peccatore e che vuole la sua salvezza.
Il Murialdo dà a questo brano anche un altro titolo
: L'amore e la misericordia di Dio per me.

E' un lavoro continuo che Dio compie da 63 anni per portare a termine la grande opera della mia salvezza e della mia santificazione.
Io devo dire con sant'Agostino: “La tua misericordia mi circondava”, e con Davide: “La tua misericordia mi accompagnava” (Sal 22,6).
Egli può giustamente lamentarsi di me: “Per sessant'anni sono stato vicino a questo ingrato, e ho detto: "Costui mi sfugge continuamente"”. Ma che non abbia ad aggiungere nei miei riguardi: “Perciò ho giurato nel mio sdegno: non entrerà nel luogo del mio riposo” (cf. Sal 94,10-11)9. [...]







LE MIE VOCAZIONI


La "storia" vocazionale del Murialdo, descritta in questo brano, deve essere letta secondo la prospettiva contenuta nella frase iniziale: “Il buon Dio, veramente buono con me, mi ha quasi forzato a seguire le due più sublimi vocazioni che ci siano al mondo: quella sacerdotale e quella religiosa...”.
Il “quasi forzato” viene spiegato dopo quando il Murialdo scrive che queste due vocazioni erano estranee ai suoi ideali.
Infatti la vocazione sacerdotale non era compresa tra i progetti del giovane Murialdo, eppure Dio lo “ha scelto”, lo “ha chiamato, lo ha perfino forzato all'onore, alla gloria, alla felicità ineffabile di essere suo ministro...”. E alla gioia per questo dono si aggiunge la commozione del Murialdo perché Dio lo ha chiamato quando era “nel fondo dell'abisso”, cioè appena uscito dalla sua esperienza di peccato. In questo si rivela tutta la “bontà” di Dio.
La vocazione religiosa, poi, “è stata ancora più un dono non solo gratuito, ma imposto con amabile violenza” perché, per l'amore alla “libertà”, il Murialdo aveva “una certa avversione” a questa vita, anzi, scrive in un altro brano, era “riluttante”. Nonostante questo “il buon Dio lo ha fatto!”.
La chiamata alla vita religiosa è strettamente unita alla nascita della congregazione. Il Murialdo descrive il lungo travaglio interiore che lo ha portato a fondare la congregazione, travaglio determinato dal suo desiderio di scoprire veramente il progetto di Dio su di lui.
La gioia e la riconoscenza di essere religioso - “... ed eccomi, grazie a Dio, grazie al buon Dio, eccomi religioso...” - diventa impegno a diventare santo come tanti fondatori di congregazioni.


Come ricambierò il Signore per tutto il bene che mi ha fatto?” (Sal 115,12).
Il buon Dio, veramente buono con me, mi ha quasi forzato a seguire le due più sublimi vocazioni che ci siano al mondo: quella sacerdotale e quella religiosa, per non parlare di quella più necessaria, cioè la vocazione cristiana.

La vocazione sacerdotale

Quanto alla vocazione sacerdotale io non ci avevo mai pensato.
Fanciullo, sognavo di diventare un giorno ufficiale. In collegio progettavo di studiare diritto perché alcuni Padri, poco prudenti, mi lusingavano dicendomi che sarei diventato ministro di Stato.
Durante il corso di filosofia pensavo di studiare le scienze matematiche, perché vedevo che si avvicinava l'epoca della fortuna degli ingegneri.
La persona della famiglia che, in collegio e poi a casa, faceva presagire che sarebbe diventato sacerdote, era mio fratello, maggiore di me: lo chiamavano perfino "canonico". Egli l'avrebbe meritato ben più di me perché era molto più saggio e pio di me. Oh, come avrebbe servito meglio di me il buon Dio nel ministero! Lui che, benché laico e sposato, ha avuto tanto zelo, pietà, carità e abnegazione!
Tuttavia Dio “ha preferito Giacobbe a Esaù” (Mal 1,2-3). E ha scelto me! Egli mi ha chiamato, mi ha perfino forzato all'onore, alla gloria, alla felicità ineffabile di essere suo ministro, di essere “un altro Cristo”, di essere “dopo Dio un Dio terreno”.
E dove stavo io quando mi hai cercato, o mio Dio? Nel fondo dell'abisso! Io ero là, e là Dio venne a cercarmi; là egli mi fece intendere la sua voce che scuote i cedri del Libano (cf. Sal 28,5)10. E attraverso quali vie provvidenziali egli mi ha ricondotto a sé!

La vocazione religiosa

Quanto alla vocazione religiosa, essa è stata ancora più un dono non solo gratuito, ma imposto con amabile violenza. Mai avevo pensato e mai avrei immaginato di diventare un giorno religioso. Per la mia inclinazione alla libertà avevo una certa avversione ad essere religioso. Tuttavia il buon Dio lo ha fatto!
Con il timore dell'inferno egli mi spinse ad entrare nella vita sacerdotale. In seguito mi chiamò al Collegio degli Artigianelli. Qui non fui io a pensare di fondare una congregazione. Il teologo Berizzi aveva gettato il seme. Don Reffo lo raccolse e si confidò con me. Io non ero favorevole, tuttavia consultai il mio confessore, il teologo Blengio. Dapprima egli non era propenso più di me. Don Reffo insisteva. Il confessore mi fece ancora rimandare la decisione, ed io non ne ero spiacente. Infine egli acconsentì, non trattandosi che di voti annuali11.
Allora volli consultare il mio vecchio confessore del seminario di San Sulpizio, il Padre Icard. Andai a Parigi; egli non c'era perché, essendo periodo di vacanza, si trovava a Pertuis, presso Marsiglia, suo paese natale. Egli mi consigliò di seguire le disposizioni della Provvidenza12. In seminario io l'avevo già consultato circa il mio desiderio di diventare sulpiziano, e mi aveva risposto di no.
L'approvazione dei vescovi monsignori Riccardi, Gastaldi e Galletti mi diede una spinta decisiva; ed eccomi, grazie a Dio, grazie al buon Dio, eccomi religioso, legato tre volte a Dio!13
Al Padre Icard io feci l'obiezione: “In questo caso io passerei per fondatore di una congregazione; ora Dio, per questo, ha sempre scelto dei santi”. “E' una buona ragione per diventarlo”, mi rispose14.
Ma è proprio vero che tutti i fondatori sono stati dei santi? Mi sembra, almeno, che tutti i fondatori dei veri ordini religiosi sono stati dei santi, ma non tutti sono sempre stati dei santi, come sant'Ignazio, sant'Agostino, san Girolamo Emiliani, san Camillo de' Lellis, lo stesso san Francesco d'Assisi, san Giovanni di Dio, fondatore dei Frati Ospedalieri... Però, poi, tutti morirono in stato di santità.


I MIEI PECCATI


Il Murialdo riporta un brano tratto da un'opera del gesuita Giovanni Battista Saint-Jure, per suscitare il dolore dei suoi peccati, causa della passione del Signore.

Giovanni Battista Saint-Jure, nel volume Il libro degli eletti, scrive che Gesù Cristo fu oppresso dalla confusione e dal disprezzo a causa dei peccati degli uomini “quando si vide coperto di tutte le ignominie di impurità, di una infinità di profanazioni, di sacrilegi e di bestemmie contro la maestà Divina, di una infinità di scelleratezze che fanno arrossire la natura umana e stupiscono l'inferno stesso... "La vergogna coprì il mio volto" (Sal 68,8)”.
Non sono questi i peccati di cui sono stato anch'io colpevole? Non sono io dunque colpevole di questo martirio interiore di Gesù Cristo, al cui confronto il martirio esteriore non è stato nulla?


MISTERO D'AMORE - MIRACOLO D'AMORE


Rievocazione in forma commossa e drammatica dell'azione di Dio che non si stanca di chiamare il Murialdo, servendosi “di inviti, di ispirazioni e soprattutto di innumerevoli benefici”, per farlo ritornare a sé.
Il Murialdo reagisce fuggendo da Dio, come Adamo nell'Eden, il paradiso terrestre (cf. Gen 3,6-13), e “facendo il sordo” perché non “vuole più saperne di lui”. Eppure Dio non lo abbandona nonostante questi suoi continui rifiuti.
Alla fine non è “l'amore”, ma il “timore dell'inferno” che riporta il Murialdo a Dio. In questa sottolineatura si coglie l'ansia del Murialdo per una vita di totale amore al Signore.
Il brano, strutturato sull'espressione tratta dalle Confessioni di sant'Agostino: “Hai chiamato. Hai gridato. Hai vinto la mia sordità”, termina con la citazione di alcuni versetti di salmi che vogliono esprimere il suo ringraziamento a Dio, buono, paziente e generoso.

“Hai chiamato. Hai gridato. Hai vinto la mia sordità”
(sant'Agostino).

Hai chiamato
Padre mio e Dio mio! “Come pecora smarrita andavo errando” (Sal 118,176), e tu sei venuto a cercare “colui che era perduto” (Mt 18,11). Ma come? Quando tu cercavi nell'Eden Adamo, il padre dei peccatori, egli si nascondeva ai tuoi occhi. Ma tu, come un padre desolato, lo cercavi e lo chiamavi: “Adamo, Adamo, dove sei?” (Gen 3,9). E' questa la voce di un padre che cerca il figlio perduto.
E anche tu mi chiamavi per nome: “Leonardo, Leonardo, dove sei?”. Ed io fuggivo davanti a te come dalla faccia di un persecutore, perché non volevo più saperne di te. Sì, gran Dio, io non volevo più saperne di te! Io non volevo più saperne di te! E tu? Tu come un amante disprezzato mi rincorrevi, mi cercavi ancora, alzavi sempre più la voce con i tuoi inviti, con le tue ispirazioni e soprattutto con i tuoi innumerevoli benefici. Ed io? Io facevo il sordo!

Hai gridato
Ah sì, o Signore, tu puoi ben dire a mio riguardo: “Mi sono stancato a forza di gridare; la mia voce è diventata rauca” (Sal 68,4).
Tu mi hai mandato nuove ispirazioni, nuovi benefici, nuovi rimorsi! Ma io ero sordo. Che dico? Io facevo il sordo ai tuoi richiami. Avresti potuto ben dire: “La tua rovina viene da te, Israele” (Os 13,9). Ma no; tu hai fatto gli ultimi tentativi per salvarmi e senza fare violenza alla mia libertà. Hai fatto ricorso al timore e alla paura. Hai aperto dinanzi ai miei occhi l'inferno e mi hai terrorizzato.
Non è per tuo amore, ma è per il timore dell'inferno che mi sono arrestato ai bordi stessi dell'inferno. E' per il crepitare delle fiamme dell'inferno che infine hai vinto la mia sordità.
Infatti sono disceso fino alle porte dell'inferno e tu, o Signore, mi hai trattenuto perché non vi entrassi15.
Che farò adesso?
Ti benedirò, o Signore, nella mia vita” (Sal 62,5).
Canterò in eterno le misericordie del Signore” (Sal 88,2).
Ripenserò i miei anni con amarezza di spirito” (Is 38,15).
Hai spezzato le mie catene, Signore. A te offrirò sacrifici di lode” (Sal 115,16-17).
Non dimenticherò in eterno, o Signore, quanto hai fatto per me” (Sal 118,93).
In te, Signore, ho posto la mia speranza, non sarò mai deluso” (Sal 30,2).


DIO PARLA A ME


Questo brano, in cui il Murialdo immagina che Dio gli parli, è stato scritto nel 1896 in lingua italiana, ed è un inno di lode all'amore eterno, gratuito, personale e misericordioso di Dio. Esso si sviluppa secondo una duplice prospettiva.
Da una parte, il Signore ricorda al Murialdo gli innumerevoli benefici che gli ha concesso fino a 68 anni e le molteplici occasioni che gli ha dato perché progredisse nel cammino di santità; dall'altra parte, il Signore stesso gli fa notare la sua risposta: dapprima rifiuto di lui e poi “tiepidezza, rilassatezza, languore, amore ai propri comodi e agli agi, freddezza...”.
Il brano termina con un pressante invito del Signore alla conversione: “Vorrai ancora tramandare di mettere in pratica il tuo proposito” di farti santo?
Il Murialdo accetta questa "provocazione" del Signore e decide di impegnarsi seriamente: “Che cosa ti risponderò, o mio Dio e mio tutto? Ho deciso: ora incomincio...”.

“Siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?”
(Is 5,3-4).

Parla Dio

“Ti ho amato di amore eterno; per questo ti attirai a me con misericordia
” (Ger 31,3).
Da tutta l'eternità io pensai a te; ti chiamai con il tuo nome e decisi di salvarti, di santificarti e di glorificarti eternamente “per il grandissimo amore con cui ti ho amato da sempre” (Ef 2,4).
Quando, poi, tu dovevi nascere al mondo, io guardai sulla faccia della terra. Essa era popolata da oltre 1.200.000.000 uomini; 5/6 fra di essi erano infedeli od eretici, il 6°, occupato da cattolici, non comprendeva dunque che 250.000.00016. Ebbene, io decisi che tu nascessi in quel sesto fortunato di terra, che tu entrassi nel mondo fra popolazione cattolica e che, giunto all'età della discrezione, tu fossi educato nella religione cristiana, e perciò ti feci nascere da una madre piissima e da un padre cattolico praticante.
A otto anni ti scelsi un collegio diretto da religiosi, gli Scolopi, dove trovasti direttori spirituali dotati di pietà: il Padre Canata, il Padre Solari, ecc. Tu, dopo pochi anni, prevaricasti; tu m'abbandonasti esplicitamente: “... mi voltasti le spalle” (Ger 15,6) con deliberato proposito.
Ed io? Io ti conservai in vita per darti tempo di ritornare a me, e conservai in vita tua madre affinché ti richiamasse sul buon sentiero; poi ti assistetti nella scelta delle scuole e dei compagni. Con il timore dell'inferno, e servendomi della tua debolezza riguardo al rispetto umano, ti attrassi e ti trascinai a me ammettendoti quasi subito nel mio santuario17. E tu, nel mio santuario, “nel luogo santo, nella mia casa”, ti abbandonasti all'accidia, agli agi, alle comodità, ai tuoi gusti.
La tua tiepidezza, tuttavia, non mi nauseò e “ti elessi” a mio sacerdote.
Nel giorno della prima messa ti feci gustare la pace di un'anima consacrata a me; tu ti davi tutto a me. Ma ben presto ripigliasti la tua rilassatezza e vi perseverasti anni e anni, nonostante le mie continue chiamate, specialmente in occasione degli esercizi spirituali.
Per scuoterti ti chiamai a Parigi dove, nel seminario di San Sulpizio, trovasti esempi, regola e direttore spirituale. Ma il frutto non fu sensibile: sempre lo stesso languore e lo stesso amore ai tuoi comodi ed agi.
Allora ti chiamai alla vita religiosa. Benché riluttante ti sforzai ad entrare in un luogo di salvezza18. Eppure dimostrasti sempre freddezza, nonostante la comodità che avevi di vivere in un collegio cristiano e lo stimolo derivante dall'essere superiore della Congregazione. Tutto fu inutile! Che cosa rimaneva ancora da fare?
Ti mandai gravi malattie, qualcuna anche pericolosa, ed anche queste lasciarono poche tracce, e così giungesti fino al massimo dell'età ordinaria degli uomini: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti” (Sal 89,10).
Ora ti trovi a 68 anni, età superata da una sola persona della tua famiglia della quale “sei rimasto solo” (1Mac 13,4)19.
I genitori, il fratello, le sorelle andarono già tutti “nella casa della loro eternità” (Qo 12,5).
Tu ora ti trovi sulla soglia dell'eternità e sei ancora padrone della tua eternità. Che cosa vuoi fare? Vorrai ancora “tramandare di mettere in pratica il tuo proposito” (Imitazione di Cristo) e costringermi a pronunciare alla fine: “Abbiamo curato Babilonia e non è guarita. Lasciamola...” (Ger 51,9)?
Ah, no! “Su, fa' adesso, carissimo, tutto quello che puoi dal momento che non sai quando morirai e non sai neppure che cosa ti succederà dopo la morte” (Imitazione di Cristo). Ma “molto presto ti accadrà questo” (Imitazione di Cristo); dunque “alzati e comincia subito e di': ora è tempo di agire, ora è il tempo adatto per correggersi, ora è il tempo di combattere!” (Imitazione di Cristo).
Ecco, io sto alla porta e busso. Se tu ascolterai la mia voce e mi aprirai la porta, io verrò da te, cenerò con te e tu con me. Se vincerai, ti farò sedere con me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso con il Padre mio sul suo trono” (Ap 3,20-21).
Dunque: “Ritorna a me..., e io ti accoglierò” (Ger 3,1). “Perché volete morire, o Israeliti? Ritornate a me e vivrete” (Ez 18,31-32).
Convertitevi a me con tutto il vostro cuore” (Gl 2,12).

Che cosa ti risponderò, o mio Dio e mio tutto? “Ho deciso: ora incomincio; questa conversione è opera dell'Altissimo e dell'Altissima” (cf. Sal 76,11).


CONFESSIONE DURANTE LA MALATTIA DEL 1885


E' la terza confessione di cui parla il Murialdo nel Testamento, dopo quella che pose termine alla crisi giovanile (1843) e quella in occasione dell'ordinazione sacerdotale (1851).
Il versetto modificato del Sal 50,3 pronunciato dal sacerdote - “la
più grande misericordia” invece di “grande misericordia”, - ha “scosso e turbato” il Murialdo, segno della coscienza che egli aveva del suo stato di peccatore.

Durante la mia prima malattia di bronchite, vedendomi in pericolo, pregai che mi chiamassero il teologo Blengio. Feci da lui la mia confessione come se fosse l'ultima. Fui scosso e turbato quando il confessore mi disse: “Ah sì! Preghiamo il buon Dio dicendo: "Pietà di me, o Dio, secondo la tua più grande misericordia" (Sal 50,3)”.


L'INCOMPRENSIBILE GRATUITA' DEI DONI DI DIO


E' un brano composto da un insieme di citazioni bibliche che dimostrano la grandezza dell'amore gratuito di Dio di cui il Murialdo ha avuto esperienza.

Io vedo che dovrei essere l'oggetto dell'esecrazione di Dio, mentre mi vedo l'oggetto dell'amore e dei benefici di Dio.
Avrò misericordia di chi vorrò e avrò compassione di chi vorrò avere compassione” (Es 33,19).
Userò misericordia con chi userò misericordia e avrò compassione di chi vorrò aver compassione. Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. Dice infatti la Scrittura al faraone: "Ti ho fatto sorgere per manifestare in te la mia potenza, e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra". Dio quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole” (Rom 9,15-18).
Là dove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia” (Rom 5,20), “perché nessuno possa vantarsene” (Ef 2,9).


RIFLESSIONI DEL 1899


E' un ammonimento che il Murialdo fa a se stesso per scuotersi da una vita “di pigrizia, d'amore delle comodità, di golosità, d'amore ai propri gusti” e dalla “tiepidezza” per decidersi ad una vita più fervente: “Perché non decidermi, non risolvermi?... Coraggio, o povera anima mia!”.
Nel brano si avverte l'insoddisfazione del Murialdo per la sua vita spirituale e, nello stesso tempo, l'anelito del suo cuore per amare veramente il Signore.


Che cosa mi trattiene dall'amare il Signore? Che cosa mi ostacola? Sono piccoli legami: un po' di pigrizia, d'amore delle comodità, di golosità, d'amore ai propri gusti. E per queste cose voglio dunque rischiare l'inferno? L'inferno eterno?
Perché non decidermi, non risolvermi? O anima mia, ci vuole tanto a decidersi? Coraggio, o povera anima mia!
L'empietà dell'empio non gli nuocerà in qualsiasi giorno egli si sarà convertito” (Ez 33,12), ha detto il Signore. Ebbene: “La tiepidezza del tiepido non gli nuocerà in qualsiasi giorno egli si sarà convertito dalla sua tiepidezza”.

I MIEI DUE DESIDERI


E' il brano che contiene la "eredità" che il Murialdo lascia ai suoi figli e che egli sintetizza in due desideri, frutto della sua esperienza spirituale.
Il primo desiderio è l'invito a credere e a diffondere la verità evangelica “dell'amore infinito, attuale e individuale che Dio ha per tutti gli uomini” e “dell'amore personale che egli ha per ciascuno in particolare”, anche “per i peccatori”. Questo amore di Dio, alla luce del messaggio di tutto il
Testamento, è soprattutto amore misericordioso.
Pur essendo una esposizione dottrinale, questa prima parte del brano contiene anche riferimenti personali. Il Murialdo si sente amato da Dio misericordioso: “Ah, quanto è grande l'amore di Dio per me!” e, nello stesso tempo, esprime il suo anelito a contraccambiare “l'amore infinito” di Dio “con un amore infinito”.
Il secondo desiderio è un invito a nutrire e a diffondere una tenera devozione a Maria, mediatrice di grazia e, come risulta dal
Testamento stesso, madre della misericordia, allo scopo di suscitare “riconoscenza” e “confidenza” nella sua materna intercessione.

L'amore di Dio


Io desidererei che la Congregazione di San Giuseppe si impegnasse soprattutto a diffondere attorno a sé, e particolarmente tra i suoi membri, la conoscenza dell'amore infinito, attuale e individuale che Dio ha per tutti gli uomini, specialmente per i fedeli e, in modo specialissimo, per i suoi eletti, i suoi scelti: i sacerdoti e i religiosi; e la conoscenza dell'amore personale che egli ha per ciascuno in particolare.
Come si conosce poco, anche da parte di molti sacerdoti, l'amore di Dio per gli uomini! Si legge nei libri di devozione e si predica dal pulpito che Dio ha tanto amato gli uomini, ma non si riflette che è al presente, adesso, in questo stesso momento che Dio ci ama veramente e infinitamente.
In generale non si ha dell'amore di Dio per noi che un sentimento confuso, oscuro, implicito nella fede che si ha nel cuore; questo sentimento è poco o nulla efficace per ravvivare il nostro amore per lui, ma se avessimo una chiara conoscenza di questa dottrina, come ameremmo di più Dio!
Quanta verità è contenuta nella preghiera di sant'Agostino: “Che io ti conosca per amarti...”: che io ti conosca nelle tue perfezioni, o Dio, ma soprattutto che io ti conosca nel tuo amore per me. Non è vero che noi non possiamo fare a meno di amare coloro che sappiamo che ci amano? Perfino un cane che ci ami, noi l'amiamo.
Ma bisognerebbe approfondire bene la questione. Bisognerebbe convincersi realmente che si tratta di una verità di fede: “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore...” (1Gv 4,16); “Signore, tu che ami gli uomini...” (Sap 11,27).
La Sacra Scrittura, il magistero della chiesa, i santi, la ragione stessa fondata sugli insegnamenti della teologia, dimostrano questa consolante dottrina. Bisognerebbe studiarla attentamente.
Bisognerebbe studiare la grandezza e l'infinità dell'amore di Dio e di Gesù Cristo, Uomo-Dio, per comprenderne “quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e per conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza...” (Ef 3,18-19).
Bisognerebbe studiare l'amore che Dio nutre anche per i peccatori, finché essi sono sulla terra. Ha scritto sant'Agostino: “Se Dio non amasse i peccatori, non sarebbe disceso dal cielo sulla terra”20; e Gesù Cristo ha detto: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Lc 5,32).
Dio ha tanto amato il mondo (cioè gli uomini cattivi) da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Infatti “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi..., perché, quand'eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo” (Rom 5,8.10).
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13), e Gesù Cristo “morì per gli empi” (Rom 5,6): “... quand'eravamo nemici..., mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”.
Padre, perdona loro...” (Lc 23,34). E Gesù Cristo conserva i medesimi sentimenti che provò sulla croce: “Io sono il Signore e non cambio” (Mal 3,6). “Dio è amore” (1Gv 4,16).
“Come Dio è sempre e dovunque, così è sempre e dovunque amore, è sempre e dovunque misericordia”21.
Cristo ieri e oggi” (Ebr 13,8). [...]
Il Padre Vincenzo Huby, nel capitolo intitolato Considerazioni sull'amore divino del suo libro Pratica dell'amore di Dio e di Gesù Cristo, scrive: “Dio mi ama. E' vero! Dio mi ama. Che gioia! Che consolazione! Egli mi ama di un amore così grande, così perfetto che è uguale a lui, infinito, eterno, perché in Dio non c'è nulla di ineguale. Non c'è il più o il meno; tutto ciò che c'è in Dio è Dio: grande, immenso, eterno, infinito come Dio. Dio mi ama dunque con amore infinito!
Ah, quanto è grande l'amore di Dio per me! Ed io che amore non dovrei avere per lui? Dovrei amarlo con amore infinito! Ma io non posso avere un amore così grande; il mio cuore non ne è capace... Io ti amerò, o mio Dio, almeno con tutto me stesso. Tu mi ami con tutto te stesso, e io, io ti amo con tutto me stesso. Ma tu sei infinito e io sono tanto piccolo e assai limitato, ma colui che dona tutto, dona tutto quello che può e tu sei contento; io ti dono dunque, o mio Dio, tutto in contraccambio di tutto”.

La devozione a Maria

L'altra dottrina che vorrei che la Congregazione diffondesse è quella di sant'Alfonso de' Liguori sulla devozione a Maria mediatrice di grazia. [...]
La sentenza: “Dio volle che noi avessimo tutte le grazie per mezzo di Maria” è di san Bernardo [...]. Nel libro Le glorie di Maria, sant'Alfonso la sostiene e la difende con forza [...].
L'orazione della festa della Madonna della Consolata dice così: “Signore Gesù Cristo che, con ammirabile provvidenza, hai disposto che noi avessimo tutte le grazie per mezzo della beata Vergine Maria, concedi, benigno, che siamo sempre assistiti dall'aiuto e dalla protezione di colei che onoriamo solennemente sotto il soavissimo titolo di Madre della consolazione”22. [...]
Questa dottrina, creduta con viva fede, quale riconoscenza non susciterebbe in noi verso Maria per tutte le grazie ricevute da Dio nell'ordine naturale e soprannaturale, e quale confidenza non susciterebbe in noi verso di lei per l'avvenire! Se la si potesse predicare, quale confidenza non susciterebbe verso Maria! Soprattutto quale riconoscenza se noi sapessimo che siamo ancora qui, che non siamo all'inferno perché Maria, Maria nostra madre, ci ha ottenuto questa grazia!


BENEFICI SPECIALI CONCESSI DA DIO A ME


E' un elenco delle grazie ritenute più significative dal Murialdo che Dio gli ha concesso durante la sua vita. Dal titolo: Benefici speciali..., e da alcuni contenuti particolari, come le malattie, si può cogliere la visione di fede del Murialdo che in tutto vedeva l'azione amorosa di Dio per il suo bene.

Anno 1828: nascita in un paese cattolico; padre saggio, madre pia; città, famiglia.
Anno 1836: educazione nel Collegio delle Scuole Pie.
Anno 1843: conversione; l'abate Pullini; timore dell'inferno; intenzione di diventare frate Cappuccino; il canonico Renaldi.
Anno 1843: durante il corso di filosofia scelta dello studio della storia antica per evitare i cattivi compagni.
Anno 1845: scelto da Dio per la vita sacerdotale: “Io ti ho scelto”.
Anno 1851: sacerdote: “Un altro Cristo, un Dio terreno”; esercizi spirituali; pellegrinaggi23.
Anno 1856: apostolato negli oratori.
Anno 1866: in seminario a San Sulpizio a Parigi.
Anno 1867: ingresso al Collegio degli Artigianelli24.
Anno 1873: religioso nella Congregazione di San Giuseppe; superiore della Congregazione e rettore del Collegio.
Anno 1885: prima malattia di bronchite (1 gennaio - 17 febbraio).
Anno 1887: seconda malattia di bronchite (17 marzo - 23 marzo).
Anno 1888: terza malattia di bronchite (28 gennaio - 10 marzo); quarta malattia di bronchite (17 novembre - 4 dicembre).
Anno 1889: quinta malattia di bronchite (11 marzo - 20 aprile).
Anno 1891: sesta malattia di bronchite (7 - 27 marzo).
Anno 1891: esercizi spirituali25.
Anno 1892: ultima (?) malattia (2 gennaio - 7 febbraio).
Anno 1893: ottava malattia (17 aprile - ...).
Messe celebrate: n. 14.500.
Comunioni: n. 15.500.
Confessioni: n. 2500.
Quanti libri devoti, commoventi!
Quante ispirazioni!
Quanti esempi di santi sacerdoti!
Per distaccarmi dal mondo e da me stesso: salute scossa, morte dei parenti, beni ridotti26, onore minacciato (fallimento della tipografia)27.


LA CHIESA DI SAN DALMAZZO IN TORINO


Il Murialdo, rivolgendosi a Dio, rievoca gli episodi della sua vita avvenuti nella chiesa di San Dalmazzo: il battesimo, la prima confessione, la confessione generale dopo la crisi giovanile, la predica sull'inferno che fece sbocciare la vocazione e la grazia specialissima ricevuta dalla Madonna di una ritrovata serenità interiore.
Questi ricordi sono legati al battistero, al confessionale, al pulpito e alla cappella della Vergine di Loreto.
Il racconto è pervaso da una intensa atmosfera spirituale di riconoscenza alla bontà e alla generosità di Dio.


Entro nel tuo tempio, o mio Dio. Che impressione di pace e di amore! Infatti qui tutto mi parla di amore: di quell'amore che hai avuto e che hai ancora per me, e di quell'amore che io ti devo.
Ecco il sacro fonte28 dove il tuo amore mi donò l'innocenza e mi adottò come tuo figlio per mezzo del santo battesimo.
Avanzo di qualche passo e vedo il sacro tribunale29 dove, nella mia infanzia, per mezzo del tuo ministro, l'abate Pullini, mi hai ridonato una prima volta la purezza e la pace del cuore, ma soprattutto dove, nel 1843, al mio ritorno dal collegio di Savona, vero figlio prodigo, carico di mille peccati, io venni a confessarti: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te” (Lc 15,18). Allora hai aperto il tuo cuore paterno alla mia preghiera, hai ascoltato questa mia preghiera e sei rientrato in possesso di un'anima destinata ad essere tuo tempio, ma che da lungo tempo non era stata che una dimora di demoni.
Oh, come la tua infinita misericordia mi divenne sensibile allora! “Come ricambierò il Signore per tutto il bene che mi ha fatto?” (Sal 115,12).
Più innanzi c'è il sacro pulpito. E' là sotto che, per la prima volta, tu mi facesti sentire la tua chiamata alla vita religiosa. Il timore dell'inferno e il rispetto umano, che in collegio mi aveva trascinato per i sentieri della dannazione eterna, furono le catene con le quali mi hai attirato a te. Io pensavo che, se fossi stato lontano dal mondo, non avrei più avuto difficoltà a causa del rispetto umano.
Il mio primo pensiero fu di chiedere di diventare frate cappuccino, ma ne fui dissuaso dal canonico Renaldi che mi consigliò di abbracciare la vita sacerdotale dove non avrei avuto da temere il rispetto umano più che se fossi stato tra i cappuccini.
Di là, mio Dio e mio Padre, tu mi hai condotto, passo passo, fino alla gloria del sacerdozio e fino al porto della vita religiosa30.
Più avanti, a sinistra, c'è la cappella della Santa Vergine di Loreto, di questa Madre che il tuo amore mi ha donato, la Madre del bell'amore: “Madre del bell'amore e della santa speranza”.
Qui la mia buona Madre mi ha liberato da una croce ben pesante, e mi ha liberato appena l'ho invocata, ricordando che nessuno è mai ricorso a lei senza essere stato esaudito. La grazia che ella mi fece, e di cui le sarò eternamente riconoscente, è questa: io ero stato preso dal timore di impazzire e, se ella non mi avesse liberato, forse ora lo sarei. “Canterò in eterno le misericordie di Maria”.


LA CHIESA DI SANTA CHIARA O DELLA VISITAZIONE IN TORINO


Come la chiesa di San Dalmazzo, anche questa cappella dedicata a santa Chiara, che era annessa al convento delle suore della Visitazione, suscita nel Murialdo il ricordo dell'inizio del suo cammino verso il sacerdozio con la vestizione clericale.
Il Murialdo considera questo avvenimento come un “prodigio della misericordia di Dio” perché la vocazione sacerdotale, “la più sublime, la più divina vocazione”, è stata concessa, il riferimento è alla crisi giovanile, “ad un mostro di miseria e di malizia”.
Nel brano, soffuso di sentimenti di pentimento per la sua “vita fiacca, abbandonata ai propri comodi, senza penitenza e senza fervore”, si coglie la nostalgia del Murialdo per una vita “fervente, penitente, generosa” verso il buon Dio.


Quanto amo la piccola chiesa della Visitazione!
E' là che, nel 1845, nella festa di san Leonardo, ricevetti l'abito clericale dalle mani dell'abate Pullini. Tutta la famiglia, mia madre per prima, era presente. Nessuno, eccetto il mio confessore l'abate Pullini, sapeva nulla del mio triste passato. Ma per gli angeli del cielo, ma per Gesù Cristo dal suo tabernacolo, per loro che spettacolo! Che prodigio della misericordia di Dio!
Erano trascorsi appena due anni da quando questo miserabile, a 15 anni, era un bestemmiatore, un impudico, un empio che si sforzava di cacciare dal suo spirito meschino il ricordo delle cose di Dio, anzi Dio stesso che Dio, infinitamente buono e infinitamente misericordioso, non soltanto perdona tutto, ma tutto dimentica, e sceglie per la più sublime, la più divina vocazione, per la vita sacerdotale questo indegno aborto, questo mostro di miseria e di malizia che doveva diventare - e il buon Dio lo sapeva in antecedenza -, un mostro di ingratitudine.
Ah, se dopo la mia conversione io fossi stato fervente, penitente, generoso con Dio come la Maddalena31, come sant' Agostino e tanti peccatori convertiti, la misericordia di Dio nei miei confronti non sarebbe stata così sorprendente!
Ma tu sai, o Signore, quale è stata la mia vita dopo quella che io amo chiamare la mia conversione: vita fiacca, abbandonata ai propri comodi, senza penitenza e senza fervore, a tal punto che io non so se, agli occhi degli angeli, sia meno abominevole una vita trascorsa in così nera ingratitudine e in così vergognoso oblio del passato che una vita trascorsa nella sensualità e nell'empietà.

Note
1. Il Murialdo più volte riconosce in questi limiti la causa del suo poco fervore spirituale.
2. Non è stato possibile rintracciare la fonte di questa espressione.
3. Il Murialdo, per rispetto, non riporta il nome del confessore.
4. Questa espressione, come la seguente, non è di sant'Agostino, ma è tratta da un'opera, di autore ignoto del secolo XII, intitolata, come uno stesso scritto del santo, Soliloqui.
5. "Riservati" sono quei peccati, la cui assoluzione, a motivo della loro gravità, è riservata al Papa e ai vescovi, o a sacerdoti da loro delegati.
La bestemmia ereticale è una ingiuria verso Dio che contiene la negazione di un attributo di Dio. In questo caso l'aggettivo “falso” contraddice la natura di Dio che è per essenza "verità".
6. Il Murialdo rimanda al brano La chiesa di San Dalmazzo in Torino (vedi a p. ???).
7. Il Murialdo commette un errore. Infatti, come risulta dai documenti, egli sostenne l'esame di laurea l'8 maggio e non il 12.
8. Si tratta del banchetto dell'Eucaristia, che il Murialdo considera come espressione della continua accoglienza dell'uomo da parte di Dio.
9. Metafora per indicare il paradiso.
10. Nella Bibbia i cedri del Libano sono simbolo di forza e di fermezza.
11. I voti religiosi di povertà, castità e obbedienza vengono emessi ogni anno per un certo periodo, e poi definitivamente.
12. Questo consiglio deve essere stato dato dal Padre Icard in un'altra occasione o come risposta ad uno scritto del Murialdo.
13. Si tratta dei tre voti di povertà, castità e obbedienza con i quali ci si consacra a Dio.
14. Questo colloquio deve essere avvenuto nel dicembre del 1872, quando il Padre Icard fece visita al Murialdo a Torino.
15. Questa espressione è tratta dai Soliloqui, opera di autore ignoto del secolo XII.
16. Il calcolo è errato perché un sesto di 1.2000.000.000 è 200.000.000.
17. Metafora per significare la vocazione sacerdotale.
18. Cioè nella vita religiosa.
19. E' la sorella Aurelia, morta nel 1890 a 71 anni.
20. Questa espressione non è di sant'Agostino, ma del carmelitano Alessandro di San Francesco, ed è contenuta nell'opera Manuale dei poveri.
21. Questa espressione è tratta dall'opera Manuale dei poveri di Alessandro di San Francesco, precisamente dal capitolo intitolato: La misericordia.
22. Si tratta dell'orazione della Madonna della Consolata la cui festa si celebra, a Torino, nell'omonimo santuario, il 20 giugno. Questo santuario fu caro e frequentato dal Murialdo.
23. I pellegrinaggi ai santuari, soprattutto a quelli dedicati alla Madonna, sono sempre stati valorizzati dal Murialdo perché ritenuti esperienze importanti per rinnovare il suo impegno di santità.
24. Il Murialdo accettò la nomina a Rettore del Collegio degli Artigianelli il 13 novembre 1866, ma fece il suo ingresso ufficiale il 12 maggio 1867.
25. In quest'anno il Murialdo partecipò a due corsi di esercizi spirituali con i confratelli. L'averli indicati significa che essi hanno avuto per lui un particolare significato.
26. Questa riduzione dei beni di famiglia, lo ricorda il Murialdo in un altro scritto, è stato determinato dal fallimento della banca dove erano depositati.
27. La situazione economica della Tipografia San Giuseppe del Collegio degli Artigianelli ebbe un momento difficile nel 1897. Il pericolo di un fallimento preoccupò il Murialdo perché egli era implicato personalmente nell'amministrazione.
28. Il battistero.
29. Il confessionale.
30. Il termine "porto" contiene l'idea di luogo di salvezza.
31. E' la peccatrice del vangelo (cf. Lc 8,2).