Mi sarete testimoni - Capitolo secondo   

Mi sarete testimoni - Capitolo secondo   

Capitolo secondo

 

Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente

Gesù Cristo è il “cuore” dell’evangelizzazione e della fede

 

 

 

16.    Scrive sant’Ambrogio: «Come sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene; che annunziano la pace! (cfr. Is 52, 7; Rm 10, 15). Chi sono quelli che recano il lieto annunzio se non Pietro, se non Paolo e gli apostoli tutti? Che cosa ci annunziano se non il Signore Gesù? Egli è la nostra pace, egli è il nostro sommo bene: perché è buono e procede dal Padre buono… Venga questo bene nella nostra anima, nell’intimo della nostra mente, perché Dio dà generosamente a coloro che glielo chiedono. Egli è il nostro tesoro, la nostra via, sapienza e giustizia nostra. Egli il nostro pastore, anzi il buon pastore. Egli è la nostra vita. Vedi quanti beni si assommano in uno solo? Tutto questo ci annunziano gli evangelisti. Lo stesso Signore Gesù è dunque il sommo bene annunziato dai profeti, predicato dagli angeli, promesso dal Padre, evangelizzato dagli apostoli. Egli venne a noi… e per primo ci recò un lieto annuncio di bene… Andiamo dunque a colui che è il sommo bene… Egli è il sommo bene che non ha bisogno di nulla ed è ricco di tutto. È talmente ricco che “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto” (Gv 1, 16) e in lui siamo colmati, come dice l’evangelista » (Lettera 11, 29, 6-9).

«Che cosa ci annunziano se non il Signore Gesù?». Sì, il “cuore” dell’evangelizzazione è la persona stessa di Gesù Cristo. Lui è l’annunciato, la “buona notizia”, il Vangelo vivo e personale.

«Andiamo dunque a colui che è il sommo bene». Sì, il “cuore” della fede è la persona stessa di Gesù Cristo. Lui è l’accolto, il creduto, l’approdo di ogni aspirazione al bene e alla felicità. La fede, infatti, è libera e amorosa adesione a Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo; è comunione personale con lui; è condivisione della sua “pienezza” di grazia.

 

Gesù Cristo, il “cuore” dell’evangelizzazione

 

17.     Come scrive il Catechismo della Chiesa Cattolica, «la trasmissione della fede cristiana è innanzitutto l’annunzio di Gesù Cristo, allo scopo di condurre alla fede in lui. Fin dall’inizio i primi discepoli sono stati presi dal desiderio ardente di annunziare Cristo: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4, 20). Essi invitano gli uomini di tutti i tempi ad entrare nella gioia della loro comunione con Cristo: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita …, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta” (cfr. 1Gv 1, 1-4)» (n. 425).

Ma chi è Gesù, il “cuore” dell’annuncio e della fede? Facciamo nostra, mossi dalla grazia dello Spirito Santo e attratti dal Padre, la confessione di Pietro a Cesarea di Filippo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Matteo 16, 16). In realtà, la confessione di Pietro continua oggi nella Chiesa fondata da Cristo: ogni credente – in un certo senso – prolunga e rinnova nel tempo la stessa confessione di fede dell’Apostolo. Anzi, è questa stessa fede, che si prolunga e si rinnova in quella del singolo credente: «In tutta la Chiesa Pietro dice ogni giorno: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16) e ogni lingua che confessa il Signore è formata dal magistero di questa voce» (San Leone Magno, Discorso 3).

Con le sue parole, Pietro compendia – e così faranno anche gli Apostoli e la Chiesa lungo il trascorrere dei secoli – il “mistero”, ossia le «imperscrutabili ricchezze di Cristo» (Efesini 3, 8).

 

È un mistero che, presente da sempre nella Trinità, si è venuto manifestando nella storia del mondo e che assume il volto di Gesù di Nazaret. Nella fede così lo possiamo riconoscere e confessare:

Gesù Cristo è il Verbo eterno di Dio,

che vive da sempre presso il Padre,

nel quale e per mezzo del quale

tutte le cose sono state create.

Unigenito e prediletto Figlio di Dio,

preannunziato dai profeti e atteso dalle genti,

al tempo del re Erode

e dell’imperatore Cesare Augusto,

è nato a Betlemme,

facendosi uomo,

per opera dello Spirito Santo,

nel grembo verginale di Maria.

Vissuto a Nazaret come figlio del carpentiere,

ha percorso le strade di Palestina

annunciando il Regno di Dio,

guarendo molti malati e facendo del bene a tutti.

Dopo averci lasciato il suo Corpo e il suo Sangue

nell’Eucaristia,

tradito da uno dei suoi,

processato dal Sinedrio e davanti a Ponzio Pilato,

è stato flagellato e condannato a morte.

Fu crocifisso

e, con la sua morte, ha vinto il peccato

e ha riconciliato gli uomini

con il Padre e tra di loro.

Disceso agli inferi,

sperimentò la profondità della morte

e portò la salvezza agli uomini di tutti i tempi.

Il terzo giorno risuscitò da morte,

distruggendo la morte e rinnovando la vita.

Salito alla destra del Padre,

dove condivide in pienezza la sua gloria,

è il Vivente che vive per sempre

e dona la vita agli uomini,

comunicando loro il suo Spirito.

Presente e operante nella sua Chiesa,

è colui che viene continuamente nel mondo

mediante la missione e l’azione della Chiesa stessa

e che, alla fine dei tempi,

ritornerà glorioso,

come giudice dei vivi e dei morti,

per dare la vita eterna  a coloro che credono in lui,

resi pienamente partecipi della sua risurrezione,

e per ricapitolare in sé tutte le cose.

 

È proprio contemplando questo “mistero” che possiamo riconoscere, comprendere e accogliere l’assoluta novità e unicità di Gesù, nei confronti di qualsiasi realtà, persona o religione, e la sua totale singolarità e irriducibilità a qualunque altro profeta, capo religioso o presunta divinità. Gesù è ciò che di più “inaudito” e “impensabile” e “incomprensibile” ci possa essere, perché nessuna persona al mondo ha mai udito che un Dio si sia fatto uomo, nessuna mente umana ha mai potuto immaginare quanto solo la gratuita e amorevole “fantasia” di Dio ha generato, nessuna realtà e nessuna potenza creata possono capire fino in fondo l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità di questo mistero e, tanto meno, possono pretendere di possederlo e dominarlo.

Di questa “novità assoluta”, che è il Signore Gesù, due sono gli aspetti che qui vogliamo riprendere e mettere in luce: Gesù è vero Dio e vero uomo; Gesù è l’unico, universale e necessario Salvatore dell’uomo e del mondo.

 

Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo

 

18.    Gesù è vero Dio e vero uomo! La fede ci consente di affacciarci – con umiltà e trepidazione grandi e, comunque, in una oscurità non totalmente superabile – sull’abisso di questo “mistero”: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Giovanni 1, 14).

Nell’unione intima e indissociabile di queste due realtà – il Verbo e la carne, la gloria divina e la sua tenda tra noi – sta l’identità unica e singolare di Gesù Cristo: «una persona in due nature», la persona del Verbo eterno nella natura divina e in quella umana (cfr. Concilio di Calcedonia del 451). Così recita il Simbolo detto “atanasiano”: «Questa è la nostra fede: credere e proclamare che il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo. Dio dalla sostanza del Padre, generato prima di tutti i secoli; uomo dalla sostanza della Madre, nato nel tempo. Dio perfetto, uomo perfetto, composto di umana carne e di anima spirituale. Uguale al Padre secondo la divinità, minore del Padre secondo l’umanità; e, benché sia Dio e uomo, non ci sono due, ma c’è un unico Cristo… Questa è la fede cattolica: solo chi crederà con perseveranza e fermezza potrà essere salvo».

Ai credenti viene data, nella Chiesa, la grazia di poter condividere la fede dell’Apostolo: «Come l’apostolo Tommaso, la Chiesa è continuamente invitata da Cristo a toccare le sue piaghe, a riconoscerne cioè la piena umanità assunta da Maria, consegnata alla morte, trasfigurata dalla risurrezione: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato” (Gv 20, 27). Come Tommaso, la Chiesa si prostra adorante davanti al Risorto, nella pienezza del suo splendore divino, e perennemente esclama: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv  20, 28)» (Novo millennio ineunte, 21).

 

C’è un aspetto di particolare importanza derivante dal fatto che Gesù è vero Dio e vero uomo. È questo: la visione di Dio e del suo mistero (teologia) e la visione dell’uomo e della sua dignità (antropologia) si incontrano e si saldano indissolubilmente nella persona stessa di Gesù (cristologia). Si incontrano e si saldano così indissolubilmente e felicemente che – se si prescinde dalla persona concreta, viva, operante e trasformante di Gesù – non si può comprendere né la verità di Dio né quella dell’uomo. Allo stesso modo, prescindendo da Gesù Cristo, la vita dell’uomo è irrimediabilmente votata al non senso, alla inutilità e, ultimamente, alla morte senza rimedio. Come scrive il Concilio, «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione… Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo…» (Gaudium et spes, 22).

In tal modo Gesù, nella sua carne santa e santificante, salva e redime la stessa umanità dell’uomo (cfr. Novo millennio ineunte, 23). Per questo, la fede cristiana non può non intercettare, in modo nuovo e radicale, la vita dell’uomo e della società. La illumina nella sua verità integrale, la libera, la salva, la esalta, la rende capace di vivere in modo perfetto il disegno di Dio sull’uomo e sul mondo.

Ecco perché – nonostante pregiudizi, paure e affermazioni contrarie, che troviamo in una parte non piccola della nostra società e cultura – il Vangelo e la fede non sono mai – né possono esserlo! – “contro” l’uomo, il suo bene, la sua felicità. Sono, invece, – e devono esserlo! – sempre e solo “a favore” dell’uomo, del suo bene vero, della sua felicità autentica. Ce lo ricorda anche il Concilio che, in un suo testo semplicissimo e folgorante, così esprime il fecondissimo rapporto tra la fede in Cristo e il “compimento” dell’uomo: «Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo» (Gaudium et spes, 41). Se e quando ciò non accade, è perché il Vangelo annunciato e la fede professata non rimangono pienamente fedeli alla loro verità originaria e vedono così sminuita, o addirittura quasi azzerata, la loro intima forza salvifica e, quindi, la loro energia umanizzante.

 

19.    Tutto questo dice la grandezza e la bellezza della fede cristiana: vale davvero la pena di credere! Credendo, diventiamo più uomini e ci realizziamo in pienezza. Lungi dall’essere un peso o, peggio ancora, una schiavitù, la fede cristiana è la fortuna più grande a cui l’uomo possa aspirare, è il dono più bello di cui l’uomo possa godere, è il senso più autentico che la vita dell’uomo possa sperimentare.

Che il Padre, nella sua bontà e misericordia, doni a noi cristiani di essere, per primi, pienamente convinti di ciò. Ci conceda di esserne testimoni umili e limpidi, capaci di attrarre anche altri in questo vortice di gioia e di amore. Ci dia di irradiare attorno a noi, ogni giorno e soprattutto nelle situazioni maggiormente scosse dalla paura e dal dolore, quella fiducia, serenità, speranza e pace che ci sono donate dal suo Figlio Gesù e dal suo Spirito.

Tutto questo dice anche che l’evangelizzazione e la trasmissione della fede sono un grande gesto di amore all’uomo! Lo conducono e lo aiutano a condividere, con chi crede, la stessa gioia e pienezza di vita.

Ma, non poche volte, questa opera missionaria incontra resistenze e sordità. Appare difficile e fragile nella nostra situazione culturale, perché è largamente diffusa la certezza che la realizzazione piena dell’uomo dipende dalle sue conoscenze e capacità tecniche. L’uomo di oggi, infatti, si crede l’unico e indiscusso artefice del proprio perfezionamento e della propria felicità e va cercandoli dentro di sé e mediante le sole sue forze. Quando poi si accorge – come capita sovente – che questa è solo un’illusione, l’uomo o cade nella disperazione o si accontenta di piccole e fragili gioie passeggere, cercate e raggiunte mediante forme diverse di piacere, spesso di stampo edonistico.

Tutto ciò dice l’esistenza di un terreno arido, non immediatamente aperto all’annuncio della Buona Notizia di Gesù. Ma, nello stesso tempo, può presentare una significativa opportunità da cogliere: lo stesso terreno, in realtà, si mostra, seppure inconsciamente, assetato di un’acqua ristoratrice e vivificante. Quest’acqua, «che zampilla per la vita eterna» (cfr. Giovanni 4, 14), è proprio Gesù e il suo Vangelo!

 

Gesù Cristo, l’unico, universale e necessario Salvatore

 

20.    Gesù è l’unico, universale e necessario Salvatore dell’uomo e del mondo! Lo è perché è vero Dio. Dio solo, infatti, può salvare, perché lui è l’unico redentore e liberatore, il solo che può dare vita, perdono e gioia. Lo è perché è vero uomo. In lui tutto ciò che è umano è stato assunto e, proprio per questo, viene purificato, sanato ed elevato fino a essere “divinizzato”.

Come ci dice l’evangelista Giovanni, Gesù è il solo che ci rivela il Padre: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Giovanni 1, 18). È il solo che ci dona l’amore e la vita del Padre: «in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini… a quanti l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Giovanni 1, 4.12). È il solo che ci riconduce al Padre: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Giovanni 14, 6).

Come ci dice l’apostolo Paolo, Gesù è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini: «uno solo, infatti, è Dio, e uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Timoteo 2, 5-6). Alle autorità religiose giudaiche che interrogano gli Apostoli sulla guarigione dello storpio, da lui operata, Pietro risponde: «Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo… In nessun altro c’è salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati» (Atti 4, 10.12).

L’affermazione di Pietro, rivolta al Sinedrio, ha un valore propriamente universale, perché per tutti – giudei e pagani – la salvezza non può venire che da Gesù Cristo.  Sì, al di fuori di Cristo «via universale di salvezza che non è mai mancata al genere umano, nessuno  – come scrive sant’Agostino – è mai stato liberato, nessuno viene liberato, nessuno sarà liberato» (La Città di Dio, 10, 32.2). E questo poiché – ce lo ricorda il Concilio con frasi appassionate e incisive – il Signore Gesù «è il fine della storia umana, “il punto focale dei desideri della storia e della civiltà”, il centro del genere umano, la gioia d’ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni» (Gaudium et spes, 45).

 

21.     Proprio perché è l’unico Salvatore di tutti, Gesù ci è assolutamente necessario. Egli è la grande, vera e unica “ricchezza” della Chiesa e dell’umanità. È una ricchezza infinitamente superiore all’oro e all’argento; è la sola capace di ridare vita, come attesta l’apostolo Pietro guarendo lo storpio: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» (Atti 3, 6). Gesù è il vero tesoro nascosto nel campo, è la vera perla di grande valore, per avere i quali occorre essere pronti a vendere ogni cosa (cfr. Matteo 13, 44-46). Come ci ha ricordato sant’Ambrogio: «Egli è il sommo bene che non ha bisogno di nulla ed è ricco di tutto» (Lettera 11, 29,9).

Gesù è necessario alla Chiesa! Senza di lui, la Chiesa non esiste e non vive, perché da lui prende origine, di lui è ripresentazione e continuazione nella storia, a lui continuamente rivolge il suo sguardo, da lui si attende forza e salvezza, a lui e alla comunione piena, beata e beatificante con lui è da sempre e totalmente finalizzata e chiamata. Di Gesù la Chiesa è il Corpo, è la Sposa. E lui è il suo Tutto!

Gesù è necessario a ogni uomo! Senza di lui, l’uomo non può conoscere la verità del suo essere e del suo destino, non può comprendere pienamente che cosa è bene e che cosa è male, non può scoprire e ritrovare le ragioni vere della fraternità tra gli uomini e i popoli, non può garantire la giustizia e trovare il grande bene della pace, non può cogliere il senso della sofferenza, non può superare la disperazione della morte, non può aprirsi alla speranza di una vita senza fine.

Gesù è necessario all’intera società! Senza di lui, la convivenza sociale pone le sue fondamenta sulle sabbie mobili di valori troppo deboli perché continuamente negoziabili, si perde nelle secche del relativismo, dell’indifferentismo e del nichilismo agnostico, consumista ed edonista,  è attraversata da paure e solitudini, rischia di smarrire ogni fiducia nel futuro, si abbandona ad atteggiamenti di irresponsabile sfruttamento della natura, finisce per calpestare i diritti dell’uomo, specialmente dei più deboli, vede affievolirsi la solidarietà e cade in forme inaccettabili di chiusura e di discriminazioni, rende fragili le radici della democrazia, non può aprirsi al perdono e alla riconciliazione che, con la giustizia, possono far sbocciare e assicurare la pace.

 

Signore, salvami!

 

22.   Enormi e decisive sono le conseguenze che scaturiscono da quanto fin qui abbiamo detto.

Se Gesù è l’unico, universale e necessario Salvatore dell’uomo e del mondo, ogni uomo ha iscritto dentro di sé, in modo nativo e indistruttibile, il “diritto” a conoscere Gesù Cristo e a incontrarlo. Si tratta di un diritto “irrinunciabile”: se l’uomo vi rinuncia, non può realizzarsi in pienezza, secondo la sua autentica natura e il suo originario destino. Lo stesso diritto appartiene, altrettanto nativamente e indistruttibilmente, alla società, poiché essa esiste come l’ambito proprio e naturale nel quale ogni persona umana può vivere secondo la sua altissima e inviolabile dignità.

Nello stesso tempo e inscindibilmente, sulla Chiesa e sui cristiani – che, per gratuito amore di Dio, hanno ricevuto il dono di conoscere Gesù Cristo e il suo Vangelo – incombe il gravissimo e irrinunciabile “dovere” di annunciare e testimoniare lo stesso Signore Gesù. Quanto abbiamo ricevuto gratuitamente, dobbiamo darlo gratuitamente (cfr. Matteo 10, 8). Ci aiuti il Signore a sentire quanto sia urgente e responsabilizzante la parola di san Paolo che, nella sua passione apostolica e missionaria, diceva di se stesso: «Non è… per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!» (1 Corinzi 9, 16).

Lo stesso Signore ci doni di avvertire che tutto questo, prima e più che un dovere, è per noi, ancora più radicalmente, un insopprimibile “bisogno del cuore”. Come Paolo diciamo: «Anche noi crediamo e perciò parliamo» (2 Corinzi 4, 13). Come tenere solo per noi la gioia e la fortuna – anzi, la grazia! – di conoscere Gesù e di amarlo? Non è possibile! Se la tenessimo solo per noi, la no-stra stessa gioia non sarebbe piena (cfr. 1 Giovanni 1, 3).

Proprio per realizzare questa “effusione”, la Chiesa è stata mandata dal Signore a tutti gli uomini. Essa sa – come scriveva Paolo VI – che «la fede è dono di Dio» e che «Dio solo segna nel mondo le linee e le ore della sua salute. Ma la Chiesa sa d’essere seme, d’essere fermento, d’essere sale e luce del mondo. La Chiesa avverte la sbalorditiva novità del tempo moderno; ma con candida fiducia si affaccia sulle vie della storia, e dice agli uomini: io ho ciò che voi cercate, ciò di cui mancate» (Ecclesiam Suam, 200).

 

23.    Dobbiamo, tuttavia, riconoscere che oggi tutto questo incontra non poche né piccole difficoltà. Mancano alcune condizioni perché l’annuncio di Gesù come unico, universale e necessario Salvatore sia percepito e accolto come “il grande dono” di cui non si può fare a meno. Spesso manca addirittura “la condizione delle condizioni”. L’uomo contemporaneo – e talvolta anche il cristiano! – non sente il bisogno di “essere salvato”; non sente il bisogno di “un” salvatore, anzi “del” Salvatore.

Nella cultura oggi dominante, la realtà della salvezza non viene percepita nella sua importanza, nella sua urgenza, nella sua assoluta necessità. Una mentalità profondamente secolarizzata induce l’uomo a coltivare sogni, speranze e traguardi che rimangono imprigionati nell’orizzonte di una visione dell’uomo dimezzata e immanentistica, chiusa cioè a ogni trascendenza e a ogni dimensione di eternità. Lo induce anche a ritenere che questi sogni, speranze e traguardi sono pienamente raggiungibili con le sue sole forze. L’uomo di oggi, dunque, non sembra anelare alla salvezza. E, se vi anela, crede di potersi salvare da solo.

Ma è proprio questa situazione a mostrare come sia ancora più necessario e urgente far brillare nel cuore dell’uomo il sogno di una salvezza vera e proporgli il nome e il volto, cioè la persona, dell’Unico che può pretendere di regalargliela.

È quanto può avvenire aiutando l’uomo a rientrare in se stesso. Solo così può riconoscere con onestà che la sua esistenza è continuamente alla rincorsa, spesso affannosa, di soddisfare gli innumerevoli desideri che avverte e coltiva dentro di sé. E può anche riconoscere che questi stessi desideri non fanno altro che moltiplicarsi a dismisura, se non trovano un approdo pacificante, capace di comprenderli e di purificarli tutti, perché tutti li supera, li trascende e li invera.

Ed è proprio a questo punto che anche l’uomo contemporaneo, nonostante tenti in ogni modo di nasconderlo o di negarlo, può riconoscere quella profonda “nostalgia” che abita il suo cuore. È la nostalgia di Dio, nel quale ogni desiderio e ogni aspirazione possono placarsi, perché non c’è essere umano che non venga da lui e non sia fatto per lui. Non c’è uomo o donna che possa non condividere e non fare propria la parola rivelatrice e consolante di sant’Agostino: «Tu ci hai fatto per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te» (Confessioni, I, 1).

Signore Gesù, lo confessiamo con tutto l’ardore del nostro cuore: “Tu ci sei necessario!”. Ma, a volte, viviamo come se potessimo fare a meno di te, come se non avessimo bisogno della tua salvezza. Aiutaci a rivolgerti con verità le parole che Pietro, impaurito, ti gridò un giorno sul lago di Tiberiade: «Signore, salvami!» (Matteo 14, 30). Salvaci, o Signore, perché senza di te noi siamo perduti (cfr. Matteo 8, 25).

Questa stessa invocazione salga dal cuore e dalle labbra dell’uomo di oggi. È emancipato e si crede indipendente, ma ha assoluto bisogno di te! Forse non lo sa o non lo vuole riconoscere, ma senza di te non troverà la felicità alla quale anela e per la quale è stato creato. Possa la nostra testimonianza di persone salvate, ma costantemente bisognose di salvezza, spronare questo stesso uomo a ritrovare la sua vera grandezza e libertà proprio riconoscendo in te solo il suo unico e necessario Salvatore. Anch’egli, con cuore umile e  fiducioso, possa ripetere la stessa invocazione che dà serenità e gioia: “Signore, salvami!”.

 

24.    La realtà personale di Gesù Cristo vero Dio e vero uomo e, conseguentemente, il suo essere l’unico, universale e necessario Salvatore dell’uomo e del mondo sono le verità che il Vangelo, con tutta la rivelazione biblica, ci propone e che la Chiesa, lungo tutta la sua storia, ha accolto e continuamente riproposto.

L’ha fatto fin dalle sue origini, esprimendo e trasmettendo la propria fede con formule brevi e normative per tutti, di cui abbiamo traccia nello stesso Nuovo Testamento (cfr. Romani 10, 9; 1 Corinzi 15, 3-5). L’ha fatto nel corso dei secoli e in risposta ai bisogni più urgenti delle diverse epoche, mediante compendi organici e articolati – chiamati “professioni di fede” o “Credo” – consegnati ai credenti come “Simboli della fede”, come il “segno distintivo”, la “tessera di riconoscimento” dei cristiani in mezzo a tutti gli altri uomini e tra tutti i credenti.

È necessario che tutti noi conosciamo in modo integrale e profondo quanto la Chiesa ci propone di credere e che ci riconosciamo in queste stesse verità, che nascono da Gesù, quale Vangelo vivo e personale, e che a lui rimandano. Solo così possiamo essere cristiani autentici, pronti a vivere con coraggio ed entusiasmo l’impegnativa e affascinante missione della testimonianza e trasmissione della fede.

Proprio per sollecitare e favorire tutto questo – come avevo promesso nella Veglia “in traditione Symboli” del 12 aprile 2003 – nelle prossime settimane pubblicherò una “Spiegazione del Credo”, che chiedo a tutte le comunità parrocchiali e alle altre diverse realtà ecclesiali di fare oggetto di ripresa e di catechesi – soprattutto per i giovani e gli adulti – preferibilmente lungo l’anno pastorale 2003-2004, o in uno degli altri anni pastorali del triennio.  

 

Gesù Cristo, il “cuore” della fede

 

25.   Come è il “cuore” dell’evangelizzazione, così Gesù Cristo è il “cuore” della fede, che è l’ascolto del Vangelo. A Dio che – in Gesù Cristo, come vero Dio e vero uomo e come unico, universale e necessario Salvatore – viene incontro all’uomo, l’uomo risponde liberamente mediante la fede. Questa è, più precisamente, la risposta cosciente e libera al dono del «Dio invisibile [che] nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé» (Dei Verbum, 2).

La fede cristiana è risposta a una parola. Ma questa parola ha un nome e un volto: è il Signore Gesù, «il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione» (Dei Verbum, 2)! La fede è tutta centrata solo su Gesù Cristo: lui ne è il principio, il contenuto, il termine vivo e personale. Con la fede, l’uomo diventa interlocutore di Dio e amico di Cristo ed è ammesso alla comunione intima d’amore e di vita con lui. È a questa intimità che pensa sant’Ambrogio quando scrive: il Verbo di Dio è tenuto stretto «dalle braccia della fede», perché «è con la fede che si tocca Cristo; è con la fede che si vede Cristo» (Esposizione del Vangelo secondo Luca, II, 59; VI, 57).

Ritroviamo, dunque, tutta la ricchezza e la pregnanza nascoste in questo dinamismo della fede!

Gesù èla parola di Dio, alla quale si risponde nella fede. Ma, più precisamente, Gesù è la parola pronunciata, la parola che si fa carne crocifissa e gloriosa, la parola che genera la vita nuova mediante il dono dello Spirito. Ecco il triplice e unitario contenuto centrale di tutta la fede cristiana, colta nella sua autenticità e novità: l’ascolto della Parola, l’incontro personale con Gesù nei Sacramenti e nella preghiera, l’obbedienza al precetto evangelico dell’amore che serve e si dona.

Il vero volto del credente è, quindi, quello del discepolo, dell’amico, del servo per amore. Ne troviamo una concreta e suggestiva illustrazione in tre notissimi passi biblici. Il primo, nella figura di Maria sorella di Marta, descrive il credente come discepolo della Parola di Dio, che è Gesù stesso: «Maria, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola» (Luca 10, 39). Il secondo passo, nella figura dei discepoli di Emmaus, indica nel credente l’amico di Gesù, che lo incontra nella preghiera e, nell’Eucaristia, lo riconosce e diventa suo commensale: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (Luca 24, 30-31). Il terzo e ultimo passo, presentandoci l’esempio di Gesù che lava i piedi agli apostoli (cfr. Giovanni 13, 13-15), delinea il volto del credente come colui che serve con umiltà e dona se stesso fino alla fine, in obbedienza al nuovo comandamento dell’amore.

 

26.    Come si vede, la fede, nella sua straordinaria ricchezza, si configura come “una” e “unificante”. È una triade indivisa e indivisibile di Parola-Sacramento-vita. È, per così dire, una “totalità unificata”, nella quale questi contenuti sono compresenti e tra loro indissociabili, si illuminano e si arricchiscono a vicenda. E tutto questo perché la fede, nella sua intima articolazione, altro non è che un riflesso splendido, nella risposta del credente, dell’unità viva e originaria di Gesù stesso, quale Parola pronunciata-celebrata-vissuta.

L’autenticità e la maturità della fede, allora, si misurano dalla capacità di saper custodire, favorire, promuovere e testimoniare questa “totalità unificata”. Sono da superarsi le tentazioni di cedere a una “parzialità disgregante”, che seleziona, privilegiandolo e assolutizzandolo,  un contenuto della fede a detrimento degli altri. È quanto avviene allorché il credente o non si preoccupa di ascoltare la Parola di Dio, o si concentra solo su una pratica sacramentale o di preghiera, o abdica ai doverosi impegni della carità. Ma, in questo modo, si finisce per impoverire, anzi per tradire, la fede stessa.

Già negli anni novanta, in riferimento diretto non solo alla fede ma anche alle dimensioni stesse della Chiesa, i Vescovi italiani ci proponevano l’importante obiettivo di «favorire un’osmosi sempre più profonda fra queste essenziali dimensioni del mistero e della missione della Chiesa. Se la comunità ecclesiale è stata realmente raggiunta e convertita dalla parola del Vangelo, se il mistero della carità è celebrato con gioia e armonia nella liturgia, l’annuncio e la celebrazione del vangelo della carità non può non continuare nelle tante opere della carità testimoniata con la vita e col servizio. Ogni pratico distacco o incoerenza fra parola, sacramento e testimonianza impoverisce e rischia di deturpare il volto dell’amore di Cristo» (Evangelizzazione e testimonianza della carità, 28).

Nella medesima linea, questa “totalità unificata” della fede chiede di essere rispettata e promossa anche nel processo dell’evangelizzazione e trasmissione della fede. Occorre superare il rischio di ridurre l’educazione nella fede alla sola, pur necessaria e fondamentale, dimensione della predicazione e della catechesi; oppure a quella, altrettanto essenziale, della preghiera e della celebrazione liturgica e sacramentale; o a quella, sempre indispensabile e qualificante, del servizio ai fratelli.

Ancora più in particolare, non è vera trasmissione della fede quella che porta a coltivare l’intimità personale con Dio fino al punto di trascurare l’amore fattivo e concreto per il prossimo e il servizio alla società. Non lo è neppure quella che si appassiona a tal punto nel curare le ferite e le piaghe delle antiche e nuove povertà da non radicare questo servizio nell’amore per Dio, nell’ascolto della sua Parola, nella preghiera e nella celebrazione dei Sacramenti. Non dimentichiamo mai che solo la spiritualità può animare e salvare la solidarietà e che solo la solidarietà  può dare concretezza e assicurare autenticità alla spiritualità.

 

Contemplare il volto di Cristo

 

27.   L’evangelizzazione, il cui “cuore” è Gesù Cristo, può essere definita, in termini assai semplici e insieme quanto mai concreti e profondi, come l’impegno della Chiesa e dei cristiani di “far vedere” il volto di Gesù Cristo agli uomini che non lo conoscono affatto o lo conoscono solo superficialmente. Così pure la fede, il cui “cuore” è sempre Gesù Cristo, si risolve nel “vedere” il volto del Signore, nell’impegno del credente di guardare a questo volto con un desiderio di conoscenza, di ammirazione, di amore, di adesione e di comunione personale con Cristo sempre più intensi: in una parola sintetica, di contemplazione.

È questa la prospettiva che ci offre il Papa nella sua Lettera post-giubilare. Ricordando la richiesta che alcuni greci, recatisi a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale, avevano rivolto all’apostolo Filippo: «Vogliamo vedere Gesù» (Giovanni 12, 21), Giovanni Paolo II scrive: «Come quei pellegrini di duemila anni fa, gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di “parlare” di Cristo, ma in certo senso di farlo loro “vedere”». E conclude con un interrogativo che interpella tutti noi, membri della Chiesa: «E non è forse compito della Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio?» (Novo millennio ineunte, 16).

Di qui l’esigenza fondamentale per la Chiesa e per il cristiano di tenere sempre fisso lo sguardo sul volto del Signore, di diventare sempre più contemplatori di questo volto.

 

La contemplazione del volto di Gesù assume, tra gli altri, il significato di essere una condizione essenziale e insostituibile e, nello stesso tempo, una forza propulsiva per l’annuncio del Vangelo. Solo se Gesù Cristo è “visto” da noi, da noi può essere “fatto vedere” agli altri! È questa l’esperienza di Andrea, il discepolo di Giovanni Battista, che, dopo aver visto dove “abitava” Gesù, coinvolge nella sua esperienza il fratello Simon Pietro. Come scrive l’evangelista: «Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)” e lo condusse a Gesù…» (Giovanni 1, 41-42). È la stessa esperienza di ogni autentico credente: non può “vedere” Cristo, senza avvertire dentro di sé il bisogno irresistibile di “farlo vedere” anche agli altri; non può incontrare veramente Cristo, senza sentirsi spinto ad annunciarlo. Come diceva Paolo VI: «Chi è stato evangelizzato a sua volta evangelizza. Qui è la prova della verità, la pietra di paragone della evangelizzazione: è impensabile che un uomo abbia accolto la Parola e si sia dato al Regno, senza diventare uno che a sua volta testimonia e annunzia» (Evangelii nuntiandi, 24).

La contemplazione del volto di Gesù presenta, inoltre, il significato di essere la finalità dell’annuncio del Vangelo, anzi il suo stesso contenuto: «noi non possiamo tacere – dicono Pietro e Giovanni al Sinedrio di Gerusalemme – quello che abbiamo visto ed ascoltato» (Atti 4, 20). Per questo, come scrivono i Vescovi italiani, «la Chiesa può affrontare il compito dell’evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di fronte a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne» (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 10).

Questo che diciamo dell’evangelizzazione vale per tutta l’azione pastorale della Chiesa, dal momento che il mistero di Cristo è «fondamento assoluto di ogni nostra azione pastorale» (Novo millennio ineunte, 15). Proprio questa è la prospettiva – semplicissima, quasi disarmante, ma assolutamente necessaria e qualificante in senso cristiano – entro la quale il Papa pone l’intera programmazione pastorale e spirituale della Chiesa di fronte alle grandi sfide del nostro tempo: «Non ci seduce la prospettiva ingenua che… possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi! Non si tratta, allora, di inventare un “nuovo programma”. Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace. Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio» (Novo millennio ineunte, 29).

In realtà, l’evangelizzazione non è un semplice “parlare” di Gesù, della sua persona e del suo messaggio. È propriamente un “comunicare” Gesù stesso, un rendere cioè possibile l’incontro vivo e personale di Gesù con l’uomo e dell’uomo con lui. È questo un incontro che passa attraverso la “rivelazione”, ossia lo “svelamento” del volto di Cristo a chi ancora non lo conosce o lo conosce solo imperfettamente. A sua volta, la conoscenza legata a questo incontro – una conoscenza che coinvolge il tutto della persona: corpo e mente, cuore e spirito – conduce a una ulteriore e sempre progressiva conoscenza.

 

La contemplazione del volto di Gesù assume, ancora, il significato di essere il contenuto del progressivo cammino di fede, il frutto e la misura della sua maturazione. In questo senso, si possono comprendere l’augurio e la preghiera dell’Apostolo agli Efesini: «Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (3, 17-19).

La contemplazione del volto di Gesù stimola il credente a sviluppare un interessantissimo itinerario di vita spirituale che, attraverso diverse tappe, conduce a una “assimilazione” sempre più ampia e profonda dei “sentimenti” di Gesù (cfr. Filippesi 2, 5). Occorre, anzitutto, una preghiera umile e fiduciosa, che faccia propria la spiritualità dell’orante di Israele e dei santi: «Di te ha detto il mio cuore: “Cercate il suo volto”; il tuo volto, Signore, io cerco» (Salmo 27[26], 8). La preghiera, a sua volta, accende il desiderio del credente di “cercare” il Signore, lo sostiene e lo rende forte e perseverante di fronte alle difficoltà e alle crisi che può subire la ricerca di Cristo. E quando Cristo si fa “trovare”, occorre vigilanza perché lo si può perdere, e occorre coraggio per “trattenerlo” con «i vincoli dell’amore, le briglie della mente, l’affetto dell’anima», come scrive sant’Ambrogio (La verginità, 67).

In particolare, nell’ambito dell’annuncio del Vangelo e della trasmissione della fede, rileviamo la necessità di contemplare il volto di Gesù come “il missionario del Padre”. Come ci ha ricordato Paolo VI, «Gesù medesimo, Vangelo di Dio, è stato assolutamente il primo e il più grande evangelizzatore. Lo è stato fino alla fine: fino alla perfezione e fino al sacrificio della sua vita terrena. Evangelizzare: quale significato ha avuto questo imperativo per Cristo? Non è certo facile esprimere, in una sintesi completa, il senso, il contenuto, i modi dell’evangelizzazione, quale il Cristo la concepiva e l’ha realizzata. D’altra parte, questa sintesi non potrà mai essere terminata» (Evangelii nuntiandi, 7).

Paolo VI stesso, nella sua Esortazione appena citata, ci presenta «alcuni aspetti essenziali» di questa sintesi (cfr. nn. 8-12). Questi aspetti sono, per così dire, come i lineamenti che compongono e illuminano il volto missionario di Gesù. Su di questi siamo invitati a fissare gli occhi del nostro cuore credente da Giovanni Paolo II, che, nell’enciclica Redemptoris missio, ci rimanda alle pagine del Vangelo: queste, nel narrare la missione di Gesù, presentano sì punti in comune o un’unità fondamentale, ma anche accenti caratteristici o «un certo pluralismo… anche frutto della spinta dinamica dello stesso Spirito» (n. 23). In questo senso, invito a ricorrere ai non pochi studi biblici che ci possono essere di prezioso aiuto nel coltivare l’avventura spirituale della contemplazione del volto missionario di Cristo.

 

Gesù Cristo, l’insuperabile

 

28.    Gesù Cristo è il “cuore” dell’evangelizzazione e della fede. È il “cuore”! Questo termine vuole certamente dire che Gesù Cristo è il “centro”, il “fondamento”, il “nucleo” essenziale e irrinunciabile dell’annuncio del Vangelo e della risposta di fede. Ma, nel linguaggio comune, il termine “cuore” richiama immediatamente altri significati che, a una lettura di fede, risultano non meno ricchi e stimolanti. Il “cuore” è il principio che dà vita e imprime dinamismo, è il simbolo dell’amore.

Sì, sei tu, o Cristo Signore, che, in quanto Vangelo fatto carne, dai origine, vita e calore all’annuncio del Vangelo e generi e accresci la fede nel credente. Tu, con l’effusione dello Spirito, infondi e alimenti il dinamismo proprio dell’evangelizzazione e della fede. Con il dono del tuo Spirito e la forza del Vangelo, tu fai ringiovanire la tua Chiesa e la rinnovi continuamente (cfr. Lumen gentium, 4). Sei tu che, con l’annuncio del Vangelo e con la fede, riveli e comunichi l’amore del Padre, quale ragione unica del disegno eternamente pensato e voluto da Dio per l’uomo e per il mondo (cfr. Efesini 1, 1ss).

A questo “cuore”, che è Gesù Cristo, la Chiesa e l’uomo sono chiamati a rispondere, a rispondere col loro “cuore”. Sono chiamati, cioè, ad accogliere in libertà crescente Gesù Cristo, precisamente come “cuore” dell’evangelizzazione e della fede e, dunque, nella sua assoluta novità, unicità e irriducibilità.

Con tutta la forza del nostro “cuore” – con intima convinzione e adesione totale – confessiamo che Gesù Cristo, e solo lui, è il sommo bene. Niente dentro di noi e attorno a noi vale più di Gesù. Nessuno, neppure il più grande della terra, vale più di Gesù. Lui è l’insuperabile!

Tutto dobbiamo essere disposti a perdere, pur di non perdere Cristo! È questo l’esempio luminosissimo di Paolo: «Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui…» (Filippesi 3, 7-9).

Con gioia prorompente, facciamo nostri le parole e l’animo di Paolo VI, il cantore innamorato di Cristo e della sua assoluta unicità e necessità nella storia del mondo e nella vicenda dell’uomo:

«Gesù è al vertice delle aspirazioni umane, è il termine delle nostre speranze e delle nostre preghiere, è il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, è cioè il Messia, il centro dell’umanità, Colui che dà un senso agli avvenimenti umani, Colui che dà un valore alle azioni umane, Colui che forma la gioia e la pienezza dei desideri di tutti i cuori, il vero uomo, il tipo di perfezione, di bellezza, di santità, posto da Dio per impersonare il vero modello, il vero concetto di uomo, il fratello di tutti, l’amico insostituibile, l’unico degno di fiducia e di ogni amore: è il Cristo-uomo.

E nello stesso tempo Gesù è alla sorgente d’ogni nostra vera fortuna, è la luce per cui la stanza del mondo prende proporzioni, forma, bellezza ed ombra; è la parola che tutto definisce, tutto spiega, tutto classifica, tutto redime; è il principio della nostra vita spirituale e morale; dice che cosa si deve fare e dà la forza, la grazia per farlo; riverbera la sua immagine, anzi la sua presenza in ogni anima che si fa specchio per accogliere il suo raggio di verità e di vita, che cioè crede in Lui e accoglie il suo contatto sacramentale; è il Cristo-Dio, il Maestro, il Salvatore, la Vita. […]

Gesù è per tutti, per ogni singola anima, per ciascuno di noi; e per ogni singolo popolo: ogni stirpe, ogni nazione, civiltà lo può raggiungere, lo può avere; anzi lo deve raggiungere, lo deve avere; Gesù è per tutti»  (Allocuzione all’udienza generale del 3 febbraio 1965).